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Partito Radicale Rita - 11 gennaio 1997
MEMORIA REFERENDUM
OBIEZIONE DI COSCIENZA

ECCELLENTISSIMA

CORTE COSTITUZIONALE

MEMORIA

dei Signori Rita Bernardini, Mauro Sabatano, Raffaella Fiori, promotori e presentatori del referendum abrogativo avente ad oggetto alcuni articoli della legge 15 dicembre 1972, n. 772 recante "Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza", così come modificata dalla legge 24 dicembre 1974, n. 695 (Referendum A/8), in rappresentanza del Comitato promotore, rappresentati e difesi, come da delega in calce, dal prof. avv. Giovanni Pitruzzella ed elettivamente domiciliati in Roma presso lo studio del prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto, via Torquato Taramelli n. 22.

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1.- Lo scopo dei promotori del referendum è quello di affermare il diritto soggettivo perfetto a svolgere il servizio militare non armato o il servizio sostitutivo civile, in sostituzione dell'attuale regime che attualmente qualifica il riconoscimento dell'obiezione di coscienza come ammissione ad un beneficio.

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2.- Com'è noto, nell'accertare la sussistenza dei requisiti di ammissibilità del referendum la Corte costituzionale deve stabilire, innanzi tutto, se ricorrano i limiti espressamente previsti dall'art. 75, 2· comma della Costituzione o comunque impliciti nell'ordinamento costituzionale relativi alle normative non suscettibili di consultazioni referendarie abrogative, secondo l'interpretazione logico-sistematica seguita dalla giurisprudenza costituzionale (in particolare con la "storica" sentenza n. 16 del 1978). Orbene, è di tutta evidenza come la normativa in argomento non rientri nelle ipotesi riguardanti le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Né la proposta di referendum ha per oggetto norme strettamente collegate a quelle espressamente escluse, o dotate di una forza passiva peculiare o, infine, disposizioni legislative a contenuto costituzionalmente vincolato.

Sotto quest'ultimo profilo, va osservato come non esiste alcun motivo di rilevanza costituzionale che si opponga al riconoscimento dell'obiezione di coscienza come diritto soggettivo perfetto.

Piuttosto è vero il contrario, e cioè che tale riconoscimento costituirebbe il più coerente svolgimento di principii costituzionali e sarebbe coerente con una precisa direzione di sviluppo dell'ordinamento. Come si preciserà meglio più avanti, secondo un autorevole orientamento dottrinale l'obiezione di coscienza dovrebbe essere costruita come un diritto soggettivo immediatamente azionabile, senza neppure la necessità dell'interpositio legislatoris. D'altra parte, tale riconoscimento sarebbe coerente con alcune convenzioni internazionali ratificate dall'Italia (le quali saranno richiamate nel successivo paragrafo 8) e perciò vincolanti nei suoi confronti, secondo il principio pure riconosciuto dall'art. 10 della Costituzione.

Ma anche a prescindere dai precedenti rilievi, va sottolineato come la Corte costituzionale, in diverse occasioni, abbia riconosciuto la centralità della coscienza e dei suoi diritti. In particolare, con la sentenza n. 164 del 1985 ha precisato - coerentemente con l'interpretazione prevalente dell'art. 52 Cost. - che l'obbligo di prestare il servizio militare è soltanto uno dei possibili modi di adempimento del dovere di difendere la patria, con la conseguenza che la convertibilità automatica del servizio militare in servizio civile risulta pienamente coerente con il quadro costituzionale. Conclusione questa che è stata rafforzata per effetto della sentenza n. 467/1991 dove la coscienza, quale "relazione intima e privilegiata dell'uomo con sé stesso" è ritenuta "la base spirituale-culturale", "il fondamento di valore etico-giuridico", "il principio creativo che rende possibile la realtà delle libertà fondamentali dell'uomo". La protezione della coscienza individuale "si ricava dalla tutela delle libertà fond

amentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti dall'uomo come singolo, ai sensi dell'art. 2 Cost.". Tale premessa ha portato la Corte ad affermare il corollario secondo cui "quando sia ragionevolmente necessaria rispetto al fine della garanzia del nucleo essenziale di uno o più diritti inviolabili dell'uomo, quale, ad esempio, la libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici (art. 21 Cost.) o della propria fede religiosa (art. 19 Cost.), la sfera intima della coscienza individuale... esige una tutela equivalente a quella accordata ai menzionati diritti, vale a dire una tutela proporzionata alla priorità assoluta e al carattere fondante ad essi riconosciuti nella scala di valori espressa dalla Costituzione italiana".

Certo, si può ritenere che l'adduzione dei motivi di coscienza non può trasformarsi in una forma privilegiata di esenzione del soggetto dai doveri di solidarietà, ex art. 2 Cost., pena altrimenti la violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., con la connessa necessità di una conversione dell'obbligo rifiutato in un altro di natura omogenea. Ma la richiesta referendaria non intacca minimamente il suddetto regime di convertibilità degli obblighi di diritto pubblico.

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3.- Maggiore attenzione va posta sul requisito della chiarezza, univocità ed omogeneità del quesito. Com'è noto, secondo l'orientamento della giurisprudenza costituzionale, il suddetto requisito si specifica: a) nella individuazione di una matrice razionalmente unitaria e di un unico principio ispiratore delle norme per cui è richiesto il referendum (cosiddetta omogeneità del "principio abrogando"); b) nella completezza del quesito, affinché la "normativa di risulta" non contenga disposizioni ricollegabili alle norme abrogate ed espressive della medesima ratio; c) nella conseguente offerta all'elettore di una "chiara alternativa", intesa come esauriente e precisa scelta tra la disciplina abroganda e quella che verrebbe in essere a seguito dell'abrogazione (cosiddetta chiarezza del "principio abrogativo" in senso oggettivo).

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4. Le norme per le quali è richiesto il referendum si collegano ad un unitario principio consacrato dal legislatore del 1972, che, nell'alternativa tra le due opposte concezioni dell'obiezione di coscienza come ammissione ad un beneficio ovvero come automatico riconoscimento di un diritto individuale, ha optato per la prima alternativa (questo è il "principio abrogando" cui si riferisce la richiesta di referendum).

In tal senso, peraltro, è stato ricostruito il sistema legislativo dal Consiglio di Stato (Ad. Plenaria 24 maggio 1985, n. 16, e sulla sua scia la giurisprudenza successiva, per cui v. Consiglio di Stato, sez. IV, 7 settembre 1994, n. 690). Il Giudice amministrativo ha portato a sostegno di tale tesi, oltre ai lavori preparatori che hanno visto abbandonato il disegno di legge che prevedeva il riconoscimento del diritto all'esonero dal servizio militare sulla base della semplice dichiarazione dell'interessato (A.S. n. 430 della VI legislatura), la scelta legislativa di un "sistema doppiamente selettivo basato su due criteri fondamentali: il primo è costituito dalla maggiore durata del servizio militare non armato o dal servizio sostitutivo civile per un periodo di otto mesi (art. 5, 1· comma); il secondo è rappresentato da un'autonoma commissione, pur costituita dal Ministro della difesa, incaricata di formulare, previa una istruttoria d'ufficio, un parere sulla consistenza della domanda".

Il primo criterio è venuto meno a seguito di una pronuncia del Giudice costituzionale (sentenza n. 470/1989). Per quanto concerne invece la Commissione di cui agli artt. 3, 1· comma e 4 della legge 772/1972, è evidente che - come riconosce il Consiglio di Stato - la sua presenza sia direttamente ed immediatamente collegata al principio secondo cui il cittadino sarebbe portatore di un semplice interesse legittimo al riconoscimento dell'obiezione di coscienza che resta subordinato ad un accertamento istruttorio di competenza dell'amministrazione. Il riconoscimento dell'obiezione non è dunque conseguenza obbligatoria della constatazione dell'assenza di certi elementi ostativi, ma provvedimento da emanare in seguito ad una valutazione complessa per la quale è istituito un apposito organo consultivo.

Del resto, i lavori preparatori (cfr. in particolare la seduta della commissione parlamentare del 14 dicembre 1972) attestano come i fautori del riconoscimento del diritto soggettivo perfetto all'obiezione di coscienza criticarono proprio l'istituzione di detta commissione, sottolineando sia i pericoli derivanti dall'esistenza di un "Tribunale delle coscienze", sia l'inutilità di un organo che sottoponesse ad esame preventivo le domande se si fosse accolta l'idea dell'automaticità del riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza.

Perciò, la frase dei 1· comma dell'art. 3 secondo cui sulla domanda dell'obiettore deve essere "sentito il parere di una commissione circa la fondatezza e la sincerità dei motivi addotti dal richiedente" e l'art. 4 che determina la composizione di detta commissione, sono espressioni dirette del principio secondo cui il riconoscimento dell'obiezione equivale all'ammissione ad un beneficio. Inversamente l'abrogazione di tali previsioni normative costituirebbe affermazione del principio secondo cui il cittadino obiettore sarebbe titolare di un vero e proprio diritto soggettivo allo svolgimento di servizi alternativi a quello militare. Coerentemente con tale scelta, il quesito propone altresì l'abrogazione dell'art. 8, 6· comma limitatamente alle parole "sentita, nei casi di cui al quarto comma, la commissione prevista dall'art. 4".

Manifestazioni immediate del citato "principio abrogando" sono anche le altre previsioni normative oggetto della richiesta di referendum. Innanzi tutto, l'espressione "essere ammessi" impiegata dal primo comma dell'art. 1, che inequivocabilmente attesta come non si tratti di diritto soggettivo ma di ammissione ad un beneficio, escludendosi l'automaticità del riconoscimento dell'obiezione di coscienza. Scelta che è confermata dal successivo 2· comma, secondo cui "i motivi di coscienza addotti debbono essere attinenti ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto". Infatti, la specificazione dei motivi individuandoli tra quelli espressamente menzionati dalla disposizione citata è la logica espressione della configurazione dell'obiezione di coscienza come ammissione ad un beneficio, che può essere concesso in quanto sussistano le condizioni previste dalle legge (in presenza delle quali potrebbe farsi valere l'obiezione intesa come

deroga ad una regola generale), ed in quanto la domanda di ammissione al beneficio contenga la motivazione da cui l'indagine della commissione deve prendere le mosse.

Invece, la qualificazione dell'obiezione di coscienza come vero e proprio diritto soggettivo implica una sorta di automatismo a svolgere, a seguito della semplice presentazione della domanda, il servizio militare non armato o il servizio sostitutivo civile.

In questo caso, all'amministrazione dovrebbe competere solamente l'accertamento dell'insussistenza di eventuali specifiche cause ostative indicate espressamente nella legge. Perciò, il referendum richiede l'abrogazione della parola "comunque" nel terzo comma dell'art. 1. Infatti, nell'attuale formulazione la parola "comunque" si collega alla predetta ricostruzione dell'obiezione di coscienza per cui, in virtù dei primi due commi dell'art. 1, il riconoscimento dell'obiezione non ha carattere di automatismo ma è espressione di un provvedimento discrezionale. Con l'uso di questa parola si precisa che, al di là di altre ipotesi in cui l'amministrazione può negare l'ammissione al beneficio, tale ammissione debba essere sempre esclusa in presenza delle condizioni previste dal 3· comma. Attraverso l'eliminazione della parola "comunque" - unitamente agli altri effetti abrogativi del referendum - l'ultimo comma dell'art. 1 individuerebbe l'unica circostanza ostativa alla possibilità di configurare in capo al richiede

nte il diritto soggettivo a svolgere il servizio militare non armato o quello civile sostitutivo. Per effetto dell'abrogazione referendaria tale diritto non sarebbe riconosciuto solamente a coloro che si trovano in una condizione ontologicamente incompatibile con la posizione di obiettore. Più precisamente, "a coloro che al momento della domanda risulteranno titolari di licenze o autorizzazioni relative alle armi indicate, rispettivamente, negli articoli 28 e 30 del testo unico della legge di pubblica sicurezza o siano stati condannati per detenzione o porto abusivo di armi".

Infine, anche le previsioni di cui all'art. 2 delle quali si chiede l'abrogazione referendaria si inseriscono nella logica del riconoscimento dell'obiezione di coscienza come ammissione ad un beneficio. Solo così si può giustificare che la domanda motivata deve essere presentata entro un termine perentorio ("entro sessanta giorni dall'arruolamento") e che "gli abili ed arruolati, ammessi al ritardo e al rinvio del servizio militare per i motivi previsti dalla legge, che non avessero presentato domanda nei termini stabiliti dal comma precedente, potranno produrla ai predetti organi di leva entro il 31 dicembre dell'anno precedente alla chiamata alle armi". La giurisprudenza amministrativa ha precisato che il suddetto termine è perentorio e inderogabile, in quanto preordinato all'esercizio del potere di organizzazione della struttura militare (Cons. di Stato, sez. IV, 1 ottobre 1993, n. 827; TAR Lazio, sez. I, 7 gennaio 1987, n. 6).

Tutto ciò è espressione della configurazione dell'obiezione come ammissione ad un beneficio, per cui l'interesse del cittadino-obiettore andrebbe sempre contemperato con l'interesse della struttura militare. Invece, la piena affermazione del diritto soggettivo all'obiezione richiede la cancellazione di detti limiti temporali, sulla base del riconoscimento della natura dinamico-evolutiva della scelta obiettante.

I convincimenti della coscienza non sono innati ma suscettibili nel tempo di maturazione. La domanda di ammissione al servizio militare non armato od al servizio civile sostitutivo dovrebbe potere essere presentata in ogni momento, se si passa dal regime del riconoscimento dell'obiezione come beneficio ad un regime che attribuisce al cittadino obiettore un diritto soggettivo perfetto.

Il quesito referendario, pertanto, ha una matrice razionalmente unitaria e comporta l'eliminazione di tutte le norme che sono espressione del medesimo principio abrogando.

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5. - La normativa di risulta che deriverebbe dall'abrogazione referendaria presenta chiarezza ed univocità di contenuto, per cui all'elettore verrà proposta una chiara alternativa, e cioè una esauriente e precisa scelta tra la disciplina abroganda e quella che verrebbe in essere in seguito all'abrogazione referendaria.

Infatti, come si è visto, gli effetti abrogativi che colpirebbero l'art. 1, avrebbero l'inequivocabile significato di configurare la scelta del cittadino obiettore come esercizio di un diritto. In questa prospettiva si legano il nuovo testo dell'art. 1, 1· comma - che varrebbe come riconoscimento del diritto del cittadino obiettore di soddisfare l'obbligo del servizio militare in uno dei modi alternativi previsti dalla legge (essi, infatti, "possono soddisfare l'obbligo del servizio militare nei modi previsti dalla presente legge") - con il nuovo testo dell'ultimo comma, in cui sarebbe individuata in modo tassativo la condizione ostativa al riconoscimento del diritto.

Coerentemente con questa impostazione, il testo dell'art. 2 che deriverebbe dall'abrogazione popolare richiederebbe ai cittadini obiettori di presentare la domanda ai competenti organi di leva, per potere prestare il servizio alternativo a quello militare, senza dovere più sottostare al rispetto di termini perentori.

Ma su tale domanda non dovrebbe più essere sentito il parere della commissione ministeriale, la cui attività istruttoria, nell'originale impianto normativo, era ritenuta la principale manifestazione del principio che qualificava il riconoscimento dell'obiezione come ammissione ad un beneficio. Invece, nel sistema che risulterebbe dall'abrogazione referendaria, sulla domanda si pronuncerebbe direttamente il ministro che dovrebbe limitarsi a verificare l'inesistenza della causa ostativa di cui al 3· comma dell'art. 1. Di fronte al diritto soggettivo del cittadino obiettore, l'atto del ministro adempirebbe alla limitata funzione di attestare l'inesistenza della predetta causa ostativa e di dare certezza alla posizione di chi ha avanzato la domanda prevista dall'art. 2.

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6.- A fronte della limpida linearità del sistema normativo che risulterebbe dall'abrogazione referendaria, così come è stato ora ricostruito, non si potrebbe invocare la circostanza per cui l'attuale giurisprudenza amministrativa, in presenza della normativa attualmente vigente, ha già circoscritto la discrezionalità della commissione nella scelta relativa alla concessione del beneficio al cittadino obiettore.

Vero è infatti che la giurisprudenza amministrativa - a partire dalla citata decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato - ha ritenuto che alla commissione spetterebbe il compito di valutare non il grado di profondità dei convincimenti e dei motivi allegati dai richiedenti, ma solo la loro non manifesta infondatezza ai fini della concessione del beneficio. Tuttavia è altrettanto vero che detta giurisprudenza si muove sempre nell'ottica della qualificazione del riconoscimento dell'obiezione di coscienza come ammissione ad un beneficio. Con la conseguenza che la giurisprudenza amministrativa ritiene che la commissione debba comunque valutare l'esistenza dei convincimenti religiosi, filosofici o morali posti alla base della domanda e che perciò debba tenere in considerazione la "vita anteatta" del giovane richiedente (così Consiglio di Stato, sez. IV, 30 novembre 1992, n. 992).

Di contro, a seguito dell'abrogazione referendaria sparirebbe qualsiasi forma, sia pure attenuata, di discrezionalità dell'amministrazione, né dovrebbe più svolgersi la suddetta valutazione della "vita anteatta" del richiedente. Infatti, verrebbe meno la parte del 1· comma dell'art. 3 in cui attualmente è espressamente prevista una verifica "circa la fondatezza e la sincerità dei motivi addotti dal richiedente".

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7.- L'art. 3 come risulterebbe a seguito dell'abrogazione referendaria, attribuirebbe al ministro il compimento di un atto privo di discrezionalità, diretto ad accertare l'inesistenza delle cause ostative previste dall'art. 1 ed a dare certezza alla posizione del richiedente.

La suddetta ricostruzione dell'atto del ministro emerge in modo univoco dal sistema normativo risultante dall'abrogazione referendaria. Non solo perché viene meno ogni riferimento alla valutazione circa la fondatezza dei motivi addotti dal richiedente, ma anche in considerazione del complessivo sistema normativo in cui dovrebbe inserirsi l'art. 3.

Quest'ultimo non può certamente tollerare una lettura atomistica (che si limiti a considerare la previsione secondo cui "Il ministro della difesa, con proprio decreto, decide sulla domanda"), ma assume il significato che deriva dalla complessiva trama ordinamentale in cui è inserito.

L'art. 1, come modificato dall'abrogazione referendaria, importa l'attribuzione all'obiettore di un vero e proprio diritto soggettivo a svolgere il servizio militare non armato o il servizio sostitutivo civile, salvo nell'ipotesi tassativamente indicata dallo stesso articolo come causa ostativa al riconoscimento del diritto. La suddetta qualificazione della situazione soggettiva del richiedente è confermata dal successivo articolo 2 che consente all'obiettore di presentare l'apposita domanda in qualsiasi momento, senza il rispetto di quei termini decadenziali che si collegavano all'idea dell'ammissione al servizio sostitutivo come concessione di un beneficio.

In questo sistema l'atto del ministro non può che essere privo di qualsivoglia discrezionalità, limitandosi a riconoscere un diritto preesistente.

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8.- La suddetta conclusione è confermata e rafforzata se - come è doveroso fare - la normativa di risulta è "letta" tenendo conto della direzione di sviluppo dell'ordinamento. Sotto questo profilo tre sembrano essere i fattori importanti: la consacrazione della libertà di coscienza come diritto soggettivo operata da alcuni disegni di legge all'esame del Parlamento e sui quali esiste un ampio consenso; il riconoscimento di tale diritto da parte di convenzioni internazionali e di una risoluzione del parlamento europeo; la tendenza della dottrina costituzionalistica ed ecclesiasticistica a fondare direttamente in Costituzione il diritto soggettivo all'obiezione di coscienza. Tutti questi fattori possiedono un indubbio rilievo ermeneutico, permettendo di eliminare ogni possibile ipotetico margine di ambiguità della previsione dell'art. 3, come modificata per effetto del referendum.

Illustrando brevemente i fattori sopra indicati, può cominciarsi evidenziando come già nella X legislatura è stata approvata una proposta di legge sull'obiezione di coscienza dalla Camera in data 21 luglio 1991 e dal Senato il 16 gennaio 1992, la quale era riapprovata, con modifiche, nell'XI legislatura dalla Camera dei deputati il 29 settembre 1993; i contenuti del testo suddetto sono stati in larga parte riprodotti nell'articolato approvato nella XII legislatura (A.C. 2276). Nella legislatura in corso la Commissione difesa del Senato ha assunto come testo base la proposta n. 46 Bertoni ed altri, la quale, riprendendo i contenuti principali delle proposte di legge delle precedenti legislature, accoglie pienamente il principio dell'obiezione di coscienza come diritto soggettivo (art. 1). Nella relazione di accompagnamento si precisa che "coerentemente con questo comune sentire, il Parlamento è chiamato a discutere, ad approvare una legge che, superando vecchi steccati ideologici, offra la possibilità di eser

citare il diritto all'obiezione di coscienza in termini pieni e senza condizionamenti". Su tale testo la prima Commissione permanente ha espresso il proprio parere (nella seduta del 23 ottobre 1996), precisando, tra l'altro, che in tutti i disegni di legge presentati nella materia e nei vari emendamenti "si configura l'opzione per il servizio civile come vero e proprio diritto", il quale è ritenuto "esercizio del diritto di libertà di pensiero, coscienza e religione, riconosciute non soltanto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, ma anche dalla Costituzione". Il testo approvato il 5 novembre 1996 dalla Commissione difesa del Senato accoglie, nell'art. 1, il principio dell'obiezione di coscienza come diritto soggettivo perfetto, espressione del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione, riconosciute, oltre che dalla Costituzione, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Convenzione internaziona

le sui diritti civili e politici.

Peraltro, sia nelle iniziative legislative citate che in numerose ricostruzioni dottrinali tese ad avvalorare la tesi dell'obiezione di coscienza come diritto soggettivo, viene attribuito rilievo all'affermazione della libertà di coscienza nell'art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e nell'art. 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, entrambi ratificati dall'Italia e quindi efficaci anche per l'ordinamento interno. Tale efficacia, peraltro, sembra riconosciuta dalla più recente legislazione che si occupa dell'obiezione di coscienza in settori diversi da quello riguardante il servizio militare. Infatti, l'art. 1 della legge 12 ottobre 1993, n. 413, riguardante l'obiezione alla sperimentazione animale, stabilisce che "i cittadini che, per obbedienza alla coscienza, nell'esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione, riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dalla Convenzione per la salvaguardia dei

diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, si oppongono alla violenza su tutti gli esseri viventi, possono dichiarare la propria obiezione di coscienza ad ogni atto connesso con la sperimentazione animale".

Si aggiungano inoltre le chiare indicazioni provenienti dalla risoluzione 19 gennaio 1994 del parlamento europeo, la quale "considera l'obiezione di coscienza un vero e proprio diritto soggettivo, riconosciuto dalla risoluzione 89/59 della commissione per i diritti dell'uomo delle Nazioni Unite e intimamente connesso all'esercizio delle libertà individuali e ritiene pertanto che si possa servire la collettività sia prestando il servizio militare sia prestando un servizio di tipo civile". La medesima risoluzione continua precisando che per "obiettore di coscienza" deve intendersi "colui che dovendo assolvere l'obbligo del servizio militare opponga un rifiuto per motivi religiosi, etici, filosofici o di coscienza", invitando tutti gli Stati a fare propria tale definizione. Con la citata risoluzione, il parlamento europeo afferma la convinzione che "il diritto all'obiezione di coscienza derivi dai diritti dell'uomo e dalle libertà fondamentali che la Comunità si impegna a rispettare ai sensi dell'art. F, paragr

afo 2, del Trattato UE e che pertanto l'armonizzazione delle legislazioni in materia rientri nella sfera di competenza della Comunità".

Infine, va sottolineato come un vasto ed autorevole orientamento dottrinale fonda direttamente nella Costituzione il diritto soggettivo all'obiezione di coscienza, anche se diversi sono gli itinerari argomentativi attraverso i quali si perviene a tale risultato. Ora attraverso il riferimento al riconoscimento ed alla garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 Cost., ora attraverso una lettura dell'art. 13 Cost., inteso come previsione e garanzia della libertà personale come libertà psicofisica, cioè della mente e del corpo nella loro indissolubile unità, ora mediante il riferimento al modo di essere di uno stato laico e pluralistico, od al principio personalista caratterizzante la vigente forma di stato repubblicana, ora infine richiamando l'art. 19 sulla libertà religiosa e l'art. 21 sulla libertà di pensiero, che dovrebbe garantire la libertà della coscienza, ora attraverso un'interpretazione sistematica degli artt. 2, 19 e 21 della Costituzione.

Tutti gli elementi richiamati esprimono in modo inequivocabile una direzione di sviluppo dell'ordinamento, in cui coerentemente si inserisce l'effetto abrogativo del referendum, e di cui deve necessariamente tenersi conto nell'individuare la complessiva portata normativa della richiesta referendaria in esame.

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9.- Di fronte all'univocità del significato attribuibile alla normativa di risulta ed alla chiara alternativa proposta all'elettore con il quesito referendario, sarebbe macroscopicamente pretestuoso appigliarsi all'impiego del verbo "decidere" da parte dell'art. 3, per scorgervi la permanenza di un residuo potere discrezionale del ministro della difesa. Infatti, tutto l'insieme delle precedenti considerazioni di ordine letterale, sistematico e storico-politico conducono ad un'unica interpretazione possibile, per cui a seguito dell'effetto abrogativo referendario, verrebbe pienamente riconosciuto il diritto soggettivo perfetto all'obiezione di coscienza. Cosicché, al massimo, la permanenza del verbo "decidere" potrebbe essere ritenuta una di quelle "mere imperfezioni" o "imperfezioni inevitabili" della normativa di risulta che secondo la giurisprudenza costituzionale sono tollerabili e certamente non precludono l'ammissibilità del referendum (così le sentenze n. 47/1991 e 63/1990). Se, in altri ben noti casi,

la Corte è arrivata a ritenere ammissibile il referendum pure in presenza di accertati "inconvenienti" della normativa di risulta (sentenza n. 32/1993), non si vede come potrebbe escludere l'ammissibilità di un referendum abrogativo come quello ora in esame, di cui si è dimostrata la piena idoneità a produrre un epilogo linearmente consequenziale.

P.Q.M.

i Signori Rita Bernardini, Mauro Sabatano e Raffaella Fiori, promotori e presentatori del referendum abrogativo avente ad oggetto alcuni articoli della legge 15 dicembre 1972, n. 772, e successive modificazioni, chiedono che l'Ecc.ma Corte costituzionale dichiari ammissibile la suddetta richiesta di referendum abrogativo dichiarata legittima dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione con ordinanza dell'11 dicembre 1996.

Roma-Palermo, 30 dicembre 1996

prof. avv. Giovanni Pitruzzella

DELEGA

I sottoscritti Signori Rita Bernardini, Mauro Sabatano, Raffaella Fiori, promotori e presentatori del referendum abrogativo avente ad oggetto alcuni articoli della legge 15 dicembre 1972 n. 772, recante "Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza", così come modificata dalla legge 24 dicembre 1974, n. 695, in rappresentanza del Comitato promotore, delegano a rappresentarli e difenderli nel giudizio di ammissibilità del referendum davanti la Corte costituzionale il prof.avv. Giovanni Pitruzzella, cui conferiscono ogni facoltà di legge, ed eleggono domicilio in Roma presso lo studio del prof. avv. Beniamino Caravita, via Torquato Taramelli n. 22.

Roma, 30 dicembre 1996

Rita Bernardini

Mauro Sabatano

Raffaella Fiori

vere le superiori firme

prof. avv. Giovanni Pitruzzella

 
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