Procuratore della Repubblicapresso il Tribunale di Roma
I sottoscritti Paolo Vigevano, nato a Genova 28 marzo 1948, residente a Roma via Quinto Fabio Pittore 15; Rita Bernardini, nata a Roma il 27 dicembre 1952 e ivi residente in via Giuseppe Allievo 58; Pasquale Quinto, nato a Bari il 10 febbraio 1956, residente a Bari in via Beatillo 20; Gaetano Dentamaro, nato a Siracusa il 19 settembre 1962, residente a Riano Flaminio (RM) in via C. A. Dalla Chiesa 19; Antonella Spolaor, nata a Mirano (VE) il 27 giugno 1966, residente a Riano Flaminio (RM) V. C. A. Dalla Chiesa 19; Mariano Giustino nato a Napoli il 4 ottobre 1957, residente a Roma via Padova 90; Antonio Marzano nato a Vibo Valentia il 24 dicembre 1951, residente a Roma in via Gaspara Stampa 125 - tutti domiciliati presso il Movimento dei Club Pannella Riformatori in via di Torre Argentina 76, Roma - promotori e presentatori del referendum abrogativo della disciplina del finanziamento pubblico dei partiti (legge 2 maggio 1974, n. 195), la cui abrogazione è stata dichiarata con D.P.R. 5 giugno 1993, n. 173
denunciano
alla S.V. quanto segue.
In data 1· agosto 1996 la I· Commissione permanente del Senato della Repubblica ha approvato, in sede deliberante, una proposta di legge, di iniziativa Guerzoni ed altri, recante "Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici".
In data 2 agosto 1996 la proposta è stata trasmessa dal Presidente del Senato della Repubblica alla Camera dei Deputati (Atti Parlamentari - Camera dei Deputati - XIII Legislatura, n. 2096).
Nella seduta del 2 agosto 1996 il Presidente della Camera ha proposto l'assegnazione della proposta di legge trasmessa dal Senato alla Commissione Affari costituzionali in sede legislativa, sottoponendo comunque tale sua proposta di assegnazione al voto dell'Assemblea; l'Assemblea ha approvato tale assegnazione.
A seguito di un vivace dibattito, in cui è stata sottolineata la contraddizione con l'esito del referendum del 1993, sono state raccolte le firme di più di un decimo dei componenti della Camera per la rimessione in Assemblea della proposta di legge approvata dal Senato; in ragione di ciò, come da comunicazione del Presidente della Camera, la proposta di legge è stata infine assegnata alla Commissione in sede redigente.
Nelle sedute del 17 e 18 settembre 1996 della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati numerosi interventi hanno posto in rilievo la necessità di approvare rapidamente il provvedimento legislativo, addirittura prima dell'inizio della sessione di bilancio. In altri interventi si è ipotizzato di seguire la procedura in sede redigente, pur dopo lo spostamento della discussione dalla Commissione in sede deliberante alla Commissione in sede referente.
Finalmente, nella seduta del 19 dicembre 1996, la Commissione Affari costituzionali ha trasmesso all'Aula il testo di un provvedimento, che la Camera ha approvato nella seduta del 20 dicembre u.s. Immediatamente trasmessa al Senato della Repubblica e assegnata alla Commissione in sede deliberante, la proposta è stata approvata definitivamente nella seduta notturna della Commissione del 20 dicembre 1996. Contro l'approvazione in via definitiva ricorrevano i promotori attraverso il conflitto di attribuzione. In data 3 gennaio 1997 il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge.
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Come si vedrà in dettaglio più avanti, nucleo centrale della legge è l'attribuzione ai cittadini della possibilità di destinare una quota dello 0,4 per cento dell'imposta sui redditi delle persone fisiche al finanziamento di movimenti o partiti politici (art. 1, comma 1), che abbiano un almeno un parlamentare (art. 2, comma 1), fino ad una concorrenza massima totale di 110 miliardi annui (art. 9).
Sono poi previste forme di erogazioni liberali di persone fisiche (art. 5) e giuridiche (art. 6), detraibili dalla dichiarazione dei redditi.
Sotto il titolo anodino "Disposizioni transitorie", l'art. 4 prevede l'erogazione a partiti e movimenti politici per l'anno 1997, entro il 28 febbraio, di 160 miliardi di lire, somma slegata da ogni dichiarazione dei cittadini.
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Come è ben noto, con la sentenza n. 30 del 1993 la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum su alcune disposizioni della legge 195 del 1974, come modificate ed integrate dalle leggi nn. 11 del 1978 e 659 del 1981, relativa al finanziamento pubblico dei partiti.
Ha osservato la Corte in quella occasione che "il quesito referendario è diretto alla abrogazione delle norme che prevedono l'erogazione di contributi pubblici ai gruppi parlamentari per l'esplicazione dei loro compiti e per l'attività funzionale dei relativi partiti, nonché le modalità di distribuzione di detti contributi da parte dei presidenti delle Camere, le attribuzioni in materia dei presidenti dei gruppi parlamentari e la decorrenza del beneficio". Secondo la Corte, per quanto riguarda i requisiti della chiarezza, univocità ed omogeneità del quesito, "le disposizioni oggetto del referendum, obiettivamente considerate nella loro struttura e finalità, contengono effettivamente quel principio la cui eliminazione o permanenza dipende dalla risposta che il corpo elettorale fornirà": come ha concluso la Corte, è "ben chiaro all'elettore che egli viene chiamato ad abrogare le norme che prevedono il contributo pubblico annuale ai gruppi parlamentari e, per il loro tramite, ai relativi partiti".
Il risultato del referendum è stato largamente favorevole (oltre 31 milioni di voti, pari al 90,3% dei voti) all'abrogazione delle disposizioni indicate e, quindi, all'eliminazione dall'ordinamento del contributo pubblico ai partiti politici.
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Nelle more del procedimento referendario del 1993, quaranta giorni prima dello svolgimento del referendum, il Presidente della Repubblica ritenne di dover rinviare al Presidente del Consiglio il decreto legge sul finanziamento pubblico dei partiti politici, utilizzando l'argomento derivante dal fatto che "l'intersecarsi degli effetti del decreto legge con il procedimento già avviato di consultazione referendaria pon(e) un problema di rilevanza costituzionale che ho il dovere di sottolineare nella mia responsabilità istituzionale".
Così quello che non si potette fare (la riforma della disciplina del finanziamento pubblico dei partiti) pendente il procedimento referendario, prima dunque dell'espressione del voto, si potrebbe fare oggi, contraddicendo l'esito referendario largamente favorevole all'abrogazione della disciplina del finanziamento pubblico dei partiti.
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In ogni caso, sottostante alla legge v'è una volontà operante rivolta ad incidere sui diritti politici dei cittadini, concretatasi in comportamenti concludenti - che anche si impugnano - pervicacemente portati avanti, nonostante il carattere di palese contrasto e contraddizione con l'esito del referendum del 1993.
L'accordo, in realtà, esisteva sin dall'estate di questo anno. Già nella seduta del 2 agosto (atti, 52-53) il Presidente della Camera affermava: "Tanto nella conferenza dei presidenti di gruppo di ieri quanto nei colloqui che ho avuto con alcuni presidenti, è emerso il riconoscimento generale dell'opportunità di consentire l'esame sollecito di questo provvedimento. Il Senato, peraltro, ha previsto la possibilità di convocare la Commissione qualora la Commissione della Camera decidesse di approvare con modificazioni il provvedimento che l'Assemblea decidesse di assegnare in sede legislativa".
Il successivo iter parlamentare ha confermato l'esistenza di tale accordo avente come obiettivo la più rapida ed indolore approvazione della reintroduzione del finanziamento pubblico dei partiti: moltissimi interventi nel dibattito alla Camera hanno fatto riferimento alla necessità di un accordo tra tutti i partiti per sopportare l'impatto di una questione che è stata definita "un nervo scoperto del rapporto fra Parlamento e opinione pubblica"; di un accordo per la rapida approvazione di tale disegno di legge si è parlato nel contesto dell'accordo che vi sarebbe stato proprio in questi giorni tra maggioranza e opposizione, a seguito dell'approvazione del decreto legge sulle concessioni televisive.
L'approvazione in notturna da parte del Senato, nella stessa giornata in cui il testo è stato approvato dalla Camera testimonia la volontà - come dire? - di chiudere al più presto la partita, sperando nel generale Natale, e di incassare i primi soldi - comunque slegati da ogni manifestazione di volontà - sin dai primi giorni del 1997!
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Ora, è facilmente riscontrabile come il principio informatore della disciplina abrogata (finanziamento pubblico dell'attività funzionale dei partiti) sia il medesimo della legge.
I destinatari dei finanziamenti sono infatti gli stessi, vale a dire i partiti ed i movimenti politici rappresentati in Parlamento (nella disciplina abrogata titolari del 95% dei finanziamenti; nella nuova disciplina della totalità del finanziamento). Identica è altresì la provenienza delle somme, trattandosi in tutte e due le normative di fondi pubblici, sottratti al bilancio dello Stato: parlare di destinazione dello 0,4% del reddito delle persone fisiche al finanziamento di movimenti o partiti politici è poco più di un artifizio verbale per nascondere una forma di finanziamento pubblico.
Infatti, da un lato, l'elevatissimo tetto di finanziamento posto dalla legge (110 miliardi l'anno) è comunque indifferente rispetto alla risposta dei contribuenti; dall'altro, il cittadino-contribuente non è in grado di destinare il suo 4 per mille a questo o quel partito, bensì solo di decidere se il suo 4 per mille parteciperà al finanziamento della politica; infine, la somma destinata al finanziamento di partiti e movimenti politici è comunque sottratta al bilancio dello Stato (come si deduce peraltro dall' art. 10 sulla copertura finanziaria), giacché implica una riduzione delle entrate derivanti dal gettito IRPEF (la riduzione del gettito è rilevante sotto due profili, giacché la possibilità di detrarre dalla dichiarazione dei redditi le erogazioni liberali - artt. 5 e 6 - implica una riduzione del gettito, che la legge quantifica in 50 mld. annui).
Tra la legge abrogata e quella nuova vi è un'unica differenza: ed è quella relativa alla somma stanziata; i 45 miliardi abrogati dal voto popolare del 1993 sono diventati 110 nel 1996. Se questo doveva essere l'esito, meglio sarebbe stato non abrogare la legge del 1974!
La contraddizione con il risultato del referendum non potrebbe essere più palese: ne risulta così vulnerata non solo la volontà della frazione del corpo elettorale, bensì la stessa scelta popolare di abrogare la normativa.
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L'art. 4 del testo la dice lunga sulla effettiva volontà delle forze politiche: la disposizione transitoria prevede la distribuzione ai partiti politici presenti in Parlamento di 160 miliardi, sic et simpliciter, senza attendere né la dichiarazione dei cittadini di destinare lo 0,4% ai partiti, fino a concorrenza di 110 miliardi, di cui all'art. 1, né le erogazioni liberali, fino a concorrenza di 60 miliardi di mancato introito per lo Stato, di cui agli articoli 5 e 6. Qui non c'è nessun meccanismo volontario di attribuzione dei cittadini: c'è la semplice, sfacciata, autoattribuzione di somme da parte dei partiti sottraendole al bilancio dello Stato!
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TUTTO CIO' PREMESSO
i sottoscrittori chiedono alla S.V. di voler verificare se dal complesso degli atti e dei comportamenti sopra evidenziati emergano circostanze ed elementi atti ad identificare le figure criminose di cui agli articoli 294 (attentato contro i diritti politici dei cittadini) e 283 (attentato contro la costituzione dello Stato) c.p., anche in relazione agli artt. 110 ss. c.p., se del caso promuovendo la sollevazione della questione di legittimità costituzionale della legge recante " Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici".
Con osservanza
Roma, 7 gennaio 1997