ANARCHIA DI STAMPA SE SCOMPARE L'ORDINE DEI GIORNALISTI
Lettera al direttore di Piero Palumbo
Caro direttore, il modesto strepito suscitato dal duello Pannella-Lavagnini non basterà prevedibilmente a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla proposta referendaria di abolire l'Ordine dei Giornalisti. Fra i trenta quesiti che si abbatteranno, Corte Costituzionale permettendolo, sul cittadino elettore, quello che riguarda la nostra categoria fa la figura dell'ospite accidentale, capitato per caso in una compagnia che non gli assomiglia e che non lo riguarda. Pare difficile in effetti capire cosa abbia in comune l'auspicata soppressione dell'Ordine con la trasformazione del sistema elettorale, la liberalizzazione della marijuana e l'interruzione di gravidanza. Il complesso die quesiti messi in campo da Riformatori e Regioni è assortito come il catalogo Postalmarket: ci potete trovar di tutto, ma è inevitabile che nella confusione qualche articolo passi inosservato. Tra i misteri referendari, il quesito sull'Ordine raggiunge vertici insuperati di incomprensibilità: mentre è evidente l'opportuni
tà di dare coerenza al sistema elettorale amputandolo dell'escrescenza proporzionalista, resta insoluto il rebus che ci riguarda. Non si sa in quali circostanze e folgorati da quali intuizioni i signori Pannella, Vigevano e compagnia referendaria decisero che la professione giornalistica non merita tutela; che per garantire la libertà di stampa occorre che tutti possano dirigere giornali; che le mascalzonate commesse a mezzo stampa non esigano sanzione e che la condizione ideale per lo svolgimento di ogni attività del genere sia l'anarchia. In un Paese serio una proposizione del genere non interesserebbe la Corte Costituzionale ma gli infermieri. Da noi tutte le bizzarrie possono divenire materia da referendum: ed ecco i giudici costretti a valutare la pertinenza di proposte che sembrano radunate dallo zelo di un netturbino pazzo: la possibilità per le regioni di avere una politica estera e la riduzione della pubblicità Rai, la liberalizzazione dell'obiezione di coscienza e la soppressione della ritenuta all
a fonte. Con lo stesso metro si potevano proporre la riforma della corsa nei sacchi e l'abrogazione delle poltrone girevoli: i competenti comitati hanno preferito inserire nel pacchetto l'abolizione della professione giornalistica. La reazione della categoria chiamata in causa è stata inspiegabilmente cauta: solo in questi giorni il Consiglio Nazionale dell'Ordine minacciato di estinzione si è fatto vivo per chiedere alla Corte Costituzionale di dichiarare l'inammissibilità del referendum proposto. Come si spieghi l'improvvisa afonia di organismi abitualmente inclini alle esternazioni, non saprei dire. E' certo che il silenzio non giova a chiarire le idee ai cittadini e rischia di essere interpretato come una conferma della fondatezza della tesi di Pannella per il quale la libertà di stampa trova insuperabili ostacoli nell'esistenza dell'Ordine. Non occorrono argomentazioni complesse per dimostrare il contrario: basta sfogliare qualunque quotidiano o periodico per vedervi le firme dei politici, critici lette
rari, psicologi, cittadini di ogni estrazione e opinione, tutta gente che scrive e trova ospitalità sulla stampa senza essere iscritta a nulla. Assai più fondata è l'obiezione che viene dall'interno della categoria sull'inefficienza dell'Ordine come è attualmente concepito. sappiamo quante volte gli organi disciplinari avrebbero dovuto intervenire con rigore e quante volte si sono esentati dal farlo e abbiamo visto i deludenti esiti delle intimazioni rivolte a quei colleghi che si erano messi sotto ai piedi il dovere della dignità professionale. Tutto ciò vuol dire che l'Ordine è da rifare, se volete, dalle fondamenta, ma non da abolire. Se in Italia dovessimo sopprimere tutto ciò che funziona imperfettamente, ci troveremmo presto senza magistrati, senza servizio postale, senza treni rapidi, e temo, senza Parlamento. Diciamo dunque le cose che vanno dette prima che la mannaia referendaria, fondata sulla molteplicità dei quesiti e sulla disinformazione dei più, si abbatta sull'Ordine dei giornalisti. La dist
ribuzione di questo modesto argine non farebbe camminare più spedita la libertà di stampa ma la distribuirebbe tra gli onesti e i mascalzoni.