L'ANALISI DI DENIS MACK SMITH"Un sistema funziona se c'è un governo saldo e in grado di decidere". Ma in Italia oggi questo non può accadere. "Perciò", dice lo studioso inglese, "occorre una nuova legge elettorale". Veramente maggioritaria.
di Antonio Satta
(Il Mondo, 11 gennaio 1997)
Forse per capire bene la politica italiana bisogna guardarla un po' da lontano. Come fa, con grande attenzione e da tanti anni, Denis Mack Smith, professore a Oxford, fra i massimi studiosi del fascismo ed osservatore, sempre acuto, della realtà del nostro paese. Ecco, all'inizio del 1997, le sue opinioni e i suoi giudizi sullo stato di salute dell'Italia, sui protagonisti.
D. Professore, all'inizio del 1996 lei pensava fossimo "ad un passo dalla rovina economica" e riteneva che per riportare il paese in condizioni sicure fossero necessarie "una nuova Costituente e un sistema che permetta l'alternanza al governo". E' ancora di quest'opinione?
R. Quando ho detto "a un passo dalla rovina" mi riferivo a due soli aspetti molto importanti, dell'economia: la disoccupazione e il debito pubblico. Le modifiche costituzionali di per sé non serviranno molto ad aiutare l'economia, ma la maggior parte degli italiani sembrano concordi nel ritenere che le modifiche siano necessarie per altri motivi. Ricordo di aver detto (ancora cinquant'anni fa) che senza una qualche forma di alternanza nel governo, qualsiasi sistema parlamentare era destinato a dimostrarsi inefficace, e ritengo che questa profezia si sia dimostrata esatta. Ma non saprei davvero dire con sicurezza se sia meglio arrivare a queste riforme attraverso un'altra assemblea Costituente o un'altra commissione bicamerale. Con sicurezza so solo che se un unico partito rimane permanentemente al potere, esso finirà inevitabilmente per portare all'inefficienza e alla corruzione.
D. In fondo in Italia l'alternanza l'abbiamo avuta. Due anni fa era al governo Silvio Berlusconi a capo di un'alleanza di centro destra. Oggi al governo è Romano Prodi, alla guida di una coalizione di centro sinistra. Che differenza vede tra queste due leadership?
R. Lei dice che "un'alternanza l'abbiamo avuta finalmente". Ma a mio avviso, quella che abbiamo è un'"alternanza imperfetta". Certo, avere due poli differenti, uno di centro destra e uno di centrosinistra è un passo nella giusta direzione. Ma perché un governo in grado di decidere e di agire, con una maggioranza sufficiente e una sufficiente coesione interna da portare avanti la sua politica. E questo ancora manca. Berlusconi e Prodi sono stati entrambi a capo di una coalizione e questo fatto ha ridotto la loro capacità di agire in profondità. Tra gli alleati di Berlusconi figuravano Bossi e Fini, che dissentivano fra loro riguardo il trasferimento di poteri agli enti locali, l'assistenzialismo e le privatizzazioni. Anche Prodi ha una maggioranza che è ridotta e condizionata da Bertinotti. Per questi motivi entrambi i governi sono stati costretti a diluire il loro programma e a volte ad accettare la sconfitta. L'alternanza che c'è oggi, quindi, costituisce un utile e promettente sviluppo, ma ben lungi da que
llo ideale, fintanto che la legge elettorale continuerà a generare decine di partiti diversi con la loro rappresentanza in Parlamento.
D. Come giudica i primi mesi di governo dell'Ulivo?
R. Mi sembra che abbia prodotto molta insoddisfazione, come del resto era prevedibile fin dall'inizio. Tutto questo perché, come dicevo prima, Prodi non ha la maggioranza parlamentare assoluta, e la sua alleanza è divisa al suo stesso interno; il che, secondo me, significa che era logico aspettarsi che non avrebbe potuto fare di meglio. Mi pare anche che l'elettorato italiano non sia ancora pronto a fare i sacrifici necessari per rientrare nei parametri imposti dall'accordo di Maastricht. E se questo è vero, né per questa né per qualsiasi altra coalizione sarà facile risolvere uno dei più urgenti problemi politici dell'Italia. D'altra parte, il governo dell'Ulivo ha saputo andare avanti e si è guadagnato il rispetto dei suoi partner europei. Ed è anche vero che pochi altri gabinetti di governo in Europa dispongono di un gruppo di ministri dotati di tanto talento ed esperienza. Nel loro complesso, i ministri di Prodi, nonostante le loro ovvie differenze, hanno saputo lavorare insieme dimostrando un notevole g
rado di flessibilità. Personalmente, mi è difficile immaginare che cos'altro avrebbero potuto o dovuto fare in circostanze così difficili.
D. Le ripeto tre suoi giudizi pronunciati in Italia a marzo, ai margini di un convegno: "Silvio Berlusconi è come Mussolini, un attore, ma non abbastanza buono"; "Romano Prodi rischia molto perché è un politico noioso"; "Gianfranco Fini parla bene, ma dentro i suoi discorsi non c'è niente". Li ripeterebbe oggi?
R. Le battute che riporta devono essere state tratte da qualche giornale che non ho mai visto; ed è meglio che metta i puntini sulle, anche se le mie opinioni personali non sono molto importanti. Di Prodi, per esempio, prima delle elezioni ho detto che alcuni elettori evidentemente lo consideravano altrettanto noioso, o almeno meno spettacolare, dei suoi avversari: e temevo che questo fatto potesse ritorcersi contro di lui. Ma a mio modo di vedere, il fatto che sia meno spettacolare e più serioso degli altri era un punto assolutamente a suo favore. In quanto a Fini, è una persona che, come ho sempre ritenuto, ha la grande occasione di guidare una destra democratica; e l'Italia ha bisogno di un partito conservatore che sia veramente democratico. Purtroppo l'ho sentito parlare solo in un'occasione, quando si è rivolto a un pubblico universitario molto qualificato qui in Inghilterra, ed è stata una grande delusione. Non perché non fossi d'accordo con quanto diceva, ma perché non ha detto quasi nulla, nulla alme
no che fosse interessante o memorabile. Perché abbia scelto quella via non riesco a immaginarlo, ma ha perso una grande una grande possibilità, è stata "un'occasione mancata", come dite voi. Un vero peccato e ciò mi ha indotto a chiedermi se fosse stata esatta la precedente opinione che mi ero fatta su di lui.
D. Pensa ancora che la politica italiana sia "sempre più spettacolo"?
R. E' una frase che è stata talvolta applicabile alla scena politica italiana, ma oggi come oggi non la userei. E' vero che lo spettacolo ha una funzione importantissima nella vita politica di ogni paese, ma forse questo è particolarmente vero nel caso dell'Italia, dove l'arte della retorica è più praticata e più efficace che altrove. Ho tuttavia l'impressione che i governi italiani succedutisi dopo il 1992 siano stati diversi e che (dietro le scene) sia stato svolto un buon lavoro nei vari ministeri per rendere l'amministrazione più pragmatica ed efficiente; per esempio ad opera di ministri come Sabino Cassese e altri. Sarei molto sorpreso se i ministri dell'attuale governo non avessero portato ancora più avanti questo processo, ma questo solo il futuro potrà dircelo.
D. Vorrei tornare su Fini. Lei ha dato un certo credito alla svolta di Fiuggi. Ma anche dalla risposta precedente, oggi appare deluso. Perché?
R. E' troppo presto per pronunciarsi con decisione su Alleanza nazionale. Fini certo merita parecchio credito per avere "sdoganato il neofascismo di ieri". E' direi che questo cambiamento è ormai irreversibile. Ma permangono alcuni dubbi. E' ancora difficile attribuire acume politico a chi ha definito Mussolini "il più grande statista del secolo". Inoltre all'interno di Alleanza nazionale ci sono ancora tracce di nazionalismo, di un eccessivo assistenzialismo e di un'eccessiva resistenza alla privatizzazione. Un altro dubbio importante è che in Alleanza nazionale, come in Forza Italia, contino ancora troppo le personalità individuali di Fini e Berlusconi; di modo che nessuno dei due partiti è tuttora sufficientemente democratico. E' una vera anomalia che dopo tre anni Forza Italia non abbia tenuto ancora un congresso di partito per discutere la propria politica o eleggere i propri leader.
D. II Pds di Massimo D'Alema ammette di ispirarsi al partito laburista di Tony Blair e alla svolta liberista che quest'ultimo ha compiuto. Che analogia vede tra i due?
R. E' difficile fare un confronto tra D'Alema e Blair; perché il contesto è molto diverso. Ma senza dubbio essi hanno introdotto molto più realismo nella politica della sinistra. Per questo la politica in entrambi i paesi in futuro sarà radicalmente diversa. Entrambi hanno creato partiti che finalmente sono potenziali partiti di governo, e questo fatto ha completamente ribaltato la situazione politica. Blair in Inghilterra si trova di fronte a un compito molto più semplice, perché il Partito laburista è stato per molti anni al governo. Ma adesso anche il Pds è molto più pragmatico del vecchio Partito comunista, più presentabile e portatore di un contributo molto più positivo.
D. Sempre Massimo D'Alema sostiene che il suo sogno più grande è trasformare l'Italia in un "paese normale". Cosa ci manca per diventarlo davvero?
R. D'Alema parla di "paese normale". Ma la normalità è un termine soggettivo e che io preferirei evitare. Molti italiani considerano normale il consociativismo e il trasformismo. Mentre altri considerano il trasformismo un punto morto e un ostacolo al buon governo. Forse D'Alema considera normalità la situazione in cui due partiti si alternano al potere e, se così, sono d'accordo con lui, sempre che si tratti di veri partiti e non di poco salde coalizioni. Se adesso mi chiede cos'è che manca perché questo sia possibile, l'ovvia risposta è una nuova legge elettorale.
D. In Italia si discute molto di riforme istituzionali. C'è chi vorrebbe un sistema elettorale come quello inglese, chi preferisce quello francese. Chi vorrebbe il presidenzialismo e chi il cancellierato. Lei che ne pensa?
R. Oggi sono più numerose che mai le persone che discutono dell'esigenza di riforme istituzionali, di un nuovo sistema elettorale, di un Presidente più forte e così via. Ma questa è una cosa che gli italiani dovranno decidere da sé. Vale la pena di discutere sui modelli stranieri per evidenziarne vantaggi e svantaggi, ma occorre sapere, innanzi tutto, che una costituzione ideale non esiste. E vale anche la pena di ricordare che la migliore costituzione non è di per sé garanzia di successo, ma funzionerà bene solo quando tra i singoli cittadini sarà diffuso un maggiore senso civico e tra i rappresentanti parlamentari un maggiore senso di responsabilità. Ciò che io definisco senso civico non può essere imposto per legge, ma lo si può acquisire solo mediante l'istruzione nelle scuole, un giornalismo responsabile e dagli stessi uomini politici quando questi si rendano conto che, pur avendo convinzioni ben diverse, possono vivere insieme accettando valori comuni e mettendo gli interessi della comunità al di sopra
dei meri interessi di partito; e infine convincendosi che una vera alternanza è qualcosa di positivo e benefico. Tutto questo è più facile a dirsi che a farsi; ma è essenziale tenerlo sempre ben presente.
D. II biglietto per l'Europa costa caro. Ce la farà l'ltalia a entrare con il gruppo di testa? E' concepibile un'unione monetaria europea senza l'Italia?
R. Certo un'Unione monetaria è concepibile anche senza l'Italia e senza la Gran Bretagna. I soli due paesi veramente indispensabili sono la Germania e la Francia, paesi che hanno una voce in capitolo. Ma entrambi questi paesi preferirebbero vedere inclusa anche l'Italia ed entrambi sanno che l'Italia può dare un contributo positivo. Non vogliono però né l'Italia né l'Inghilterra se questo creerà nuove discordie e difficoltà. Sono ancora aperte tutte le possibilità, anche se al momento sembra che Italia e Gran Bretagna siano destinate a entrare nel gruppo in una seconda fase.
D. Lei ha scritto un lungo saggio sulla corruzione in Italia per la 'New York Review of books'. Oggi da noi si parla di una Mani pulite 2 e si indaga anche sul giudice Antonio Di Pietro. Cosa pensa, ne usciremo mai?
R. Non ho la minima idea su come farà l'ltalia a uscire da Mani pulite. E' già difficile giudicare il presente, non parliamo poi di predire il futuro. I problemi dell'Italia con Mani pulite sono ben compresi all'estero e senza dubbio, speriamo fra non molto, verrà trovata una soluzione. Non c'è dubbio, inoltre, che sia stato un peccato lasciare tante decisioni ai tribunali e ai magistrati. Ma ciò è successo perché il Parlamento si è rifiutato di agire prima (ma molto prima). Sono ormai passati più di 30 anni da quando Malagodi, allora presidente del Senato, mise in guardia il mondo politico avvertendo che la corruzione stava trascinando il paese verso il disastro e sono passati quarant'anni da quando Don Sturzo affermò che finanziare i partiti con la corruzione era illegale e un giorno avrebbe portato alla catastrofe. Ma il parlamento non fece quasi nulla per impedirlo.
D. Si è parlato di una possibile amnistia...
R. Da parte mia, non vedo ormai altra possibilità che continuare le indagini a livello giudiziario fin quando non sarà stato bevuto tutto l'amaro calice, costi quel che costi. Scegliere la strada dell'amnistia non gioverebbe alla reputazione dell'Italia all'estero e all'interno del paese non farebbe che incoraggiare ulteriori illegalità. Molte precedenti amnistie, per esempio riguardanti l'evasione fiscale e gli abusi edilizi, hanno semplicemente insegnato alla gente come infrangere la legge e farla franca. A furia di chiudere un occhio, le tangenti sono diventate un fattore quotidiano e nel breve spazio di venticinque anni la mafia è diventata cento volte più pericolosa. Io, comunque, non ho assolutamente alcun diritto di intervenire o esprimere opinioni, eccetto che per sottolineare che un'amnistia non farebbe che peggiorare le cose. Meglio che il processo continui fino in fondo. Magari riducendo di molto le penalità, e con un Parlamento che sappia assumersi le proprie responsabilità, senza addossarne tutt
o l'onere sui magistrati, quegli stessi magistrati che poi vengono trasformati in capri espiatori quando i risultati sono sgraditi. Soprattutto non ci dovranno essere tentativi di insabbiamento. Il buon nome dell'Italia è davvero troppo importante per qualsiasi operazione di copertura.