RITORNO AL PASSATOdi Angelo Panebianco
(Il Corriere della Sera, 5 gennaio 1997)
Il sì alla legge sul finanziamento dei partiti
Francamente non meraviglia che il presidente della Repubblica abbia firmato la legge sul finanziamento dei partiti senza nemmeno aspettare che la Consulta decidesse sull'ammissibilità del ricorso presentato dai riformatori di Pannella. Ciò che meraviglia è che qualcuno si meravigli. Viene approvata una legge che annulla il risultato del referendum '93 e il presidente, senza esitazioni, come era prevedibile, sottoscrive. Va be', Pannella strepiterà, una manciata di editorialisti (come Zanone, Pasquino, Romano o Panebianco) mugugnerà, ma che importa? E soprattutto, che importa se in questo modo si contraddice l'indicazione data, in un referendum, dagli italiani, sudditi grulli che ogni tanto si atteggiano, velleitariamente, a cittadini?
Trovo il comportamento di Scalfaro ammirevolmente coerente con tutti i suoi atti passati nonché con tutti i suoi pensieri (discorsi di fine anno compresi). La legge sul finanziamento dei partiti testé approvata dal Parlamento e subito firmata dal presidente è una legge fatta apposta per piacere a Scalfaro. E' infatti una legge che avrebbe potuto benissimo essere approvata, esattamente in questa forma, all'epoca della Prima Repubblica, una legge coerente con la "costituzione materiale" della Prima Repubblica. E a Scalfaro bisogna dare atto di non avere mai nascosto di essere un nostalgico di quella costituzione materiale. Ricordate, ad esempio, il modo in cui gestì la crisi di governo dopo la caduta di Berlusconi? La volontà di ritorno al passato, da parte di Scalfaro, si manifestò allora in forme che definirei spettacolari.
Settimane e settimane di "consultazioni al Quirinale" in cui folle di delegazioni di partito, e pellegrini vari, venivano convocati per inutili pseudocolloqui ufficiali (perfettamente sostituibili con quattro rapide chiacchierate al telefono) secondo le più auree tradizioni della Prima Repubblica. Fu, quel rituale, una chiarissima manifestazione di attaccamento alla costituzione materiale della Prima Repubblica da parte del presidente. Non c'è infatti scritto da nessuna parte nella Costituzione formale che per affidare un incarico di governo occorra perdere settimane in colloqui ufficiali. Stava invece scritto, questo sì, nella costituzione materiale (partitocratica) della Prima Repubblica. Avrebbe potuto Scalfaro fare qualcosa di diverso? Certamente sì. Avrebbe potuto, 'il giorno stesso' delle dimissioni di Berlusconi, dopo un paio d'ore di colloqui telefonici con i leader di partito (oggi esistono anche i cellulari), incaricare un altro, e poi, nel caso di sfiducia da parte del Parlamento, indire nuov
e elezioni. Una procedura per nulla in contrasto con la lettera della Costituzione (formale) e coerente con lo spirito del maggioritario. Scegliendo quel rituale, Scalfaro dimostrò che, per lui, nulla era davvero cambiato rispetto all'epoca della Prima Repubblica. Ed ecco perché non mi meraviglia affatto che Scalfaro non abbia ascoltato le voci di coloro che gli chiedevano di non firmare una legge sul finanziamento dei partiti che, facendosi beffe di un risultato referendario, ci riporta al passato.
Il segnale che partiti e presidente hanno lanciato è, mi pare, chiarissimo: la sbornia rivoluzionaria è finita. Chi, all'epoca dei referendum elettorali e di quello contro il finanziamento dei partiti, si era illuso che fosse possibile costruire una democrazia con caratteristiche radicalmente diverse da quelle della Prima Repubblica, si metta l'animo in pace. Adesso basta semplicemente che la Corte Costituzionale - la quale, anche grazie alle accorte nomine di Scalfaro, ha nel suo seno una netta maggioranza di conservatori istituzionali - elimini l'ultimo pericolo: la mina rappresentata da quei referendum che puntando ad abolire la quota proporzionale potrebbero rimettere pericolosamente in moto la rivoluzione inceppata. E il gioco sarà fatto.
Questa vicenda, infatti, la dice lunga anche sulle scelte istituzionali future. Prima o poi, non sarà difficile ritoccare la legge elettorale in modo da aumentare, anziché diminuire, il suo tasso di proporzionalità. Per la felicità di popolari, Ccd, rifondatori, eccetera, già ora economicamente (e dunque politicamente) rafforzati dalla nuova legge sul finanziamento dei partiti. Insomma: 'back to the future', indietro nel futuro.
Fino all'approvazione di questa legge sul finanziamento dei partiti chi scrive era solo moderatamente scettico sulle possibilità di successo della Bicamerale. Adesso, invece, mi sono convinto che la Bicamerale non approderà a nulla (nel caso migliore) oppure (nel caso peggiore) farà una contro-riforma.
Nel frattempo, credo che Marco Pannella, l'uomo che, in qualità di organizzatore del referendum del '93 contro il finanziamento pubblico ai partiti, più protesta in queste ore per le scelte di Scalfaro, debba ammettere pubblicamente i propri passati errori di valutazione. Gli errori che commise quando attaccò Cossiga nell'ultima fase della sua presidenza e poi, in perfetta coerenza con quell'attacco, agì come grande elettore di Scalfaro. So che Pannella ha ammesso questo secondo errore. Ma non ha mai ammesso che questo secondo errore dipendeva strettamente dal primo. L'errore consistette nel credere che, in presenza del crollo del vecchio sistema dei partiti, fosse ancora possibile avere presidenti della repubblica che fungessero da "poteri neutrali". Non era possibile. La scelta non poteva essere fra un presidente "attore politico" e un presidente "potere neutrale". La scelta poteva essere solo fra incarnazioni diverse del presidente "attore politico". Più precisamente, fra un presidente che agisse pol
iticamente per superare l'assetto istituzionale della Prima Repubblica (come Cossiga) e un presidente che agisse politicamente per restaurarlo (come Scalfaro). Credo che quando verrà fatta la storia della rivoluzione istituzionale abortita, fallita, degli anni Novanta, alla parte avuta da Scalfaro verrà dato dagli storici il risalto che certamente merita.