TRENTA QUESITI DAVANTI ALLA CORTEFondo di prima pagina di Andrea Manzella
La Corte Costituzionale deve decidere sull'ammissibilità di trenta referendum, tutti da tenere nello stesso giorno. In ventidue anni, dal 12 maggio 1974 (il primo sul divorzio) si sono tenuti in Italia quaranta referendum. Ora si dovrebbe, in un sol colpo, quasi raddoppiare quella cifra. Ma i referendum potrebbero essere, a caso, 79 o 123 su cui contemporaneamente votare. Non esiste infatti nella legge una norma esplicita che fissi un criterio o una graduatoria per stabilire un tetto di sostenibilità alla valanga di schede e di quesiti che l'elettore referendario deve trasportare e risolvere in cabina. D'altra parte la progressione non sembra avere soste. Siamo passati dal referendum unico della prima esperienza ai 5 referendum del 1981, ai dieci del 1993, ai dodici del 1995, ai trenta (possibili) del 1997. Nello stesso tempo la percentuale elettorale è scesa dall'87,7 per cento del 1974 al 57,8 per cento del 1995. Quasi trenta elettori su cento hanno voltato le spalle all'istituto del referendum così prolif
erato. Prima di decidere nel merito dei singoli quesiti si porrà perciò per la Corte una questione pregiudiziale. E' ammissibile costituzionalmente l'ammissibilità di un numero illimitato di referendum? Oppure esistono in Costituzione principi fondamentali che rischiano di essere feriti dall'effetto cumulativo di una quantità arbitraria di domande? Questo rischio di deperimento di valori costituzionali esiste e investe precisamente due cardini della nostra democrazia. Uno è il libero voto dei cittadini, l'altro è lo stesso sistema rappresentativo parlamentare. La Corte Costituzionale si è più volte preoccupata di tutelare la libertà di voto degli elettori contro la confusione derivante da 'molteplici complessi di questioni', contenute nella stessa domanda referendaria. E perciò non ha ammesso i referendum con quesiti privi di una 'matrice razionalmente unitaria'. Sembra ora arrivato il momento per trasportare questa preoccupazione dall'interno della singola domanda all'esterno: quando vi sia come vi è un af
follamento di referendum che violi il diritto degli elettori alla chiarezza. La Corte Costituzionale è stata anche molto netta nel rifiuto dell'uso del singolo referendum come strumento alternativo alla funzione legislativa parlamentare. Sembra ora arrivato il momento per dire che un numero indefinito di referendum può costituire un indebito programma legislativo non parlamentare. Un programma attuato nel peggiore dei modi: mutilando leggi esistenti e facendo così dire ai monconi normativi amputati il contrario di quel che diceva la legge originaria, senza il proporzionamento e i bilanciamenti del metodo parlamentare. Non basta invocare il blocco o l'ignavia parlamentare che spesso esistono davvero per giustificare un simile stravolgimento costituzionale. In questi stessi giorni del resto la Corte Costituzionale dovrà anche giudicare il diritto del Parlamento di tornare sulla legislazione abrogata per referendum una volta che sia trascorsa una legislatura (cioè il concreto periodo parlamentare simmetrico ai
cinque anni necessari per riproporre un referendum già bocciato dal voto popolare). Dopo aver detto No al disordine crescente dei decreti legge reiterati (mettendo addirittura a repentaglio il difficile governo della congiuntura) la Corte Costituzionale potrebbe dunque giungere a un'altra storica sentenza sollevando davanti a se stessa la questione dei valori costituzionali a rischio per sovrabbondanza di referendum. Costituzionalisti autorevoli come Barile e berti e Cuocolo e Bettinelli, hanno già 'visto' questa via. Certo, se imboccherà questo difficile percorso, la Corte Costituzionale sarà sola e senza indicatori nell'opera di estrazione di regole implicite della Costituzione e di messa in mora dello stesso Parlamento. Così come fu sola nella famosa sentenza numero 16 del 1978, quando dettò il primo codice costituzionale per il referendum. D'altra parte è destino degli organi di 'chiusura' degli ordinamenti affrontare il mare aperto senza riferimenti normativi espliciti, ma sulle sole basi della ragionev
olezza e dell'equilibrio della Costituzione. Se però la Corte decidesse di entrare nel merito dei singoli referendum senza risolvere ancora questa grave questione pregiudiziale, non si potrà dire certo che essa si sarà arresa a logiche extra-costituzionali. Una delle costanti di una certa Italia prepotente, è invece, l'attacco intimidatorio alla Corte nell'imminenza dei giudizi in materia di referendum. Quarant'anni di giurisprudenza costituzionale - uno dei fattori decisivi dell'ammodernamento del paese e insieme una storia di libertà concrete - non sono ancora bastati per creare intorno al nostro supremo organo di garanzia un clima di civiltà giuridica e politica. Ma non è un buon servizio per la causa dello stesso istituto del referendum - benemerito nella storia repubblicana e di cui è ancor più necessaria la tutela in regime maggioritario - inventarsi sospetti da Transatlantico su chi deve giudicarne l'ammissibilità nella logica complessiva della Costituzione.