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IL TEMPO 5 GENNAIO 1997

LA SINISTRA S'E' STUFATA DEI REFERENDUM

Articolo di Giovanni Negri pag. 5

Troppe cimici o troppi referendum? Troppe intercettazioni ambientali o troppe assemblee costituenti? Troppe oligarchie o troppe urne? Quali sono le malattie della democrazia italiana? Domande vere, non paradossi, alla vigilia della pronuncia della Corte Costituzionale e mentre il giornale dei reazionari-comunisti, il Manifesto, intona il ritornello di Scalfaro: di referendum si soffoca. E' un discorso sul metodo quello che dobbiamo farci, noi che abbiamo apprezzato l'angosciosa fotografia di un osservatore distante e autorevole come Renato Ruggiero, che in un'impietosa intervista ha raccontato l'Italia come un Paese in declino, snobisticamente estraneo ad un mondo in tumultuosa evoluzione tagliato fuori dai grandi movimenti di idee e dai veri confronti del nuovo millennio, mai come oggi condannato a rinnovarsi con un colpo d'ali fatto di coraggio e intelligenza o perire ripiegato sulle proprie beghe sempiterne. Ed è una risposta che dobbiamo ai maccabei incipriati Pintor e Parlato, alla decrepita cortigianer

ia di chi scodinzola fra Castro e Scalfaro. Lasciate la gente votare, non si abbia paura di urne e schede, di referendum e di assemblee costituenti: la transizione italiana verso la seconda Repubblica ha bisogno come il pane di tali medicine,ha necessità vitale di innervare e incanalare le nuove regole dello Stato di domani in idee, passioni, scelte, voti di popolo sovrano.Perché alla fine il nodo è uno solo: si intende consentire ai cittadini di partecipare direttamente alle scelte cruciali- come già è accaduto con i primi referendum elettorali e altrettanto accadrebbe con questo e con l'Assemblea costituente - o le vecchie oligarchie intendono rispolverare tutte le prepotenze di cui sono capaci, per pilotare il cambiamento verso lidi predeterminati a proprio uso e consumo? Certo, c'era da aspettarselo, i reazionari-comunisti del Manifesto, aedi di un'ideologia morta me servitori di interessi ben vivi, anelano a quel rumor di ghigliottina che è l'ultimo a dar loro qualche brivido, e tutti i mandarini del ve

cchio equilibrio - all'ombra del Mandarino Supremo - nutrono di manovre curiali l'attesa decapitazione referendaria. Ma agli altri, a tutti gli altri, spetta scegliere un campo.Trenta referendum saranno anche troppi in un 'Paese Normale' e ammesso che esso esista.Ma questo è un paese dove la guerra giudiziaria per bande è pane quotidiano, dove il capo dell'opposizione trova una cimice sul tavolo, dove il Robespierre di Mani Pulite va ai Lavori Pubblici dimettendosi da magistrato prima e ministro poi senza spiegare veramente perché, dove gli apparati di Stato sfornano servizi per definizione 'deviati' e conti pubblici alterati, insomma per dirla con Ruggiero un Paese che oscilla più fra La Paz e Teheran che fra Bonn e New York. Difficile attribuire la buona fede a chi grida ad una democrazia soffocata dai referendum, lecito invece dubitare che siano le caste di certa magistratura, i vecchi potentati partitici vestiti di nuovo, alcuni oligarchi di capitalismo assistito e parassitario a temere che a decidere si

a veramente la gente, a prediligere le stanze riservate e ovattate. Sanno del resto che senza referendum il cambiamento in Italia non sarebbe neppure stato avviato. E analogo ragionamento diciamolo, vale per il solco che separa la Bicamerale dall'Assemblea Costituente come strumento più adatto per dare una Carta alla Seconda Repubblica e un approdo alla lunga transizione del sistema politico. L'importante, ciò che davvero conta,sarà il contenuto della nuova Costituzione,perciò è rilevante anche il come ci si arriverà ed è in tal senso preoccupante l'accanimento che molti impiegano contro il progetto di Mario Segni per far sì che la Carta sia il frutto di un'assemblea eletta dal popolo. C'è un feticismo da Bicamerale che si alimenta di sfiducia nei cittadini, di convinzione che la politica sia alla fine materia per poche élites pensanti e dirigenti, che agita lo spettro di un ritorno al proporzionale perché è con quel metodo che tale assemblea sarebbe eletta. Anche nel 1946 si votò per la Costituente con il p

roporzionale, eppure come allora si formarono nei fatti due poli (o con l'Occidente o con l'URSS), anche oggi la scelta sarebbe netta, tra i fautori di uno Stato leggero, presidenziale e federale, e i conservatori della Repubblica parlamentare. A ciò l'Assemblea condurrebbe mentre i viottoli delle piccole intese per ora portano alla nuova legge sul finanziamento ai partiti e alla qualità politica che essa esprime. Perciò alla faccia di tutte le apparenti saggezze che dal Manifesto al Quirinale ci ammaniscono, invochiamo la prima saggezza della democrazia: lasciamo la gente votare. Referendum prima, Costituente poi.

 
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