RIFORME NELL'URNA O IN BICAMERALE?
Intervista a Ugo Spagnoli, ex-vice-presidente della Consulta di Ida Dominijanni pag.4
Che cosa determina il giudizio della Corte Costituzionale sull'ammissibilità o meno dei quesiti referendari? 'Una serie di elementi - spiega Ugo Spagnoli, ex-vice-presidente della Consulta, che di stagioni referendarie ne ha affrontate e vagliate parecchie. Ad esempio per essere ammessi i quesiti non devono riguardare questioni tributarie nè accordi internazionali.Ma soprattutto devono essere chiari, ovvero nettamente comprensibili dagli elettori.E questo è sempre il punto più delicato, essendo il più discrezionale, e dunque il più soggetto a valutazioni politiche'.
D. Si parla da tempo, almeno dai referendum Segni del '93, di una 'deriva referendaria' della nostra democrazia, cioè di uno snaturamento dell'istituto referendario, usato ormai su questioni che poco si prestano ad essere impostate e decise sulla base di un sì/no.I trenta referendum sui quali rischiamo di essere chiamati a votare a giugno non confermano questa deriva?
R. Personalmente ho sempre difeso l'istituto del referendum, che usato correttamente e su temi appropriati - vale l'esempio classico di quello sul divorzio del 1974 - ha avuto effetti di dispiegamento della democrazia. Ma allora si trattava di temi davvero trasversali, ad alto contenuto etico e simbolico, che legittimavano il ricorso al pronunciamento popolare diretto. Adesso l'uso del referendum sta diventando tutto diverso. Nel caso dei 18 quesiti proposti da Pannella, nessuno dei quali affronta problemi di portata tanto generale da richiedere l'uso eccezionale del referendum, si tratta di un vero e proprio 'pacchetto' programmatico, organico e con un segno coerente che viene sottoposto agli elettori in alternativa al programma di governo. Qui lo strumento referendario risulta davvero snaturato e apre inevitabilmente una deriva plebiscitaria. Il Parlamento ha le sue responsabilità su questo stato di cose: nessun segnale, mentre l'iniziativa di Pannella andava avanti, di voler risolvere per via legislativa
alcuno dei problemi al centro dei 18 referendum.
D. L'istituto del referendum va riformato?
R. E' opportuno forse pensare ad una restrizione del numero di quesiti ammissibili. Dover votare assieme su 18 o 30 referendum su materie diversissime fra loro vuol dire non poter discutere nel merito di nulla: per i cittadini diventa davvero difficile pronunciarsi con cognizione di causa. E poi c'è il cosiddeto 'rischio locomotiva' che cioè il sì o il no sui quesiti più importanti trascini anche il voto su gli altri.
D. C'è una differenza di qualità fra i 18 quesiti di Pannella e i 12 proposti da alcune Regioni?
R. Quelli delle Regioni sono più interessanti e hanno anche dei precedenti, i referendum in materia di abrogazione di alcuni ministeri (con esiti incerti visto che il ministero dell'agricoltura, abrogato referendariamente è stato in realtà mantenuto). ma tutti e trenta i quesiti sono accomunati da un rischio, quello di invadere direttamente il campo della riforma istituzionale che dovrebbe essere proprio della Bicamerale.
D. Appunto. La vera riforma istituzionale rischiamo di farla con l'urna referendaria...
R. Sì, o più precisamente si rischia di avviare un processo parallelo che non potrebbe non ricadere in modo pregiudiziale sui lavori della commissione. La bicamerale non potrebbe non tener conto del risultato - e della stessa ammissibilità - del referendum sull'abolizione della quota proporzionale dell'attuale sistema elettorale. Nè per quanto attiene alla ridefinizione della forma di Stato, potrebbe prescindere dai referendum promossi dalle regioni, tutti a netta impronta federalista.