AUSPICO CHE LA CORTE NON LI AMMETTAdi Federico Orlando
(L'Unità, 7 gennaio 1997)
Anche a costo di dispiacere ai professori che hanno preso a cannoneggiare la Corte perché ammetta i due referendum elettorali (quelli che abrogano la quota proporzionale del 25 per cento nei sistemi per eleggere i deputati e i senatori), auspico che la Corte faccia esattamente il contrario: e cioè che li dichiari non ammissibili, come già fece nel 1995, quando le furono proposti identici quesiti.
Vorrei che ci capissimo subito: il mio auspicio non muove né da incondizionata devozione alla giurisprudenza della Corte costituzionale (che può essere modificata come tutte le cose umane), né da amore improvviso per il "Minotauro", il mostro per tre quarti uomo e per un quarto toro, cioè per la legge Mattarella, appunto per tre quarti maggioritaria e per un quarto proporzionale: contro la quale combatterei su 'Il Giornale' e su 'La Voce' difendendo le ragioni del maggioritario integrale, nella forma del doppio turno francese.
La mia preoccupazione è che si ripeta lo sciagurato concepimento del Minotauro, e cioè che la nostra classe parlamentare e di governo interpreti il risultato del referendum nel modo apparentemente più conforme alla volontà del popolo, ma sostanzialmente più lontano dallo spirito referendario.
Ai nostri giovani che a 19 o 20 anni danno l'esame di diritto costituzionale all'università, tutti i testi, nessuno escluso, spiegano che attraverso il referendum il corpo elettorale può solo dire se intende abrogare una legge esistente ma non può proporre un progetto di legge sostitutivo: "E' un atto che cancella, non crea". A creare il nuovo deve essere il Parlamento, che deve rispettare un solo limite: non può ripristinare ciò che il referendum ha cancellato.
Da anni, però, i professionisti del referendum hanno preso l'abitudine di proporre quesiti abrogativi di semplici parti di una legge, fidando molto sull'inettitudine del legislatore ordinario, che invece di scrivere la nuova legge lascia in vigore la parte non abrogata della vecchia.
Il Minotauro nacque così. Quando proponemmo e ottenemmo il referendum per abrogare il marchingegno che trasformava in proporzionale l'elezione dei senatori (i collegi uninominali, pari al 75 per cento dei senatori da eleggere, erano collegati in modo tale da non aver nulla di maggioritario), noi avevamo l'intenzione, e tutti gli italiani lo capirono, di poter arrivare, col "sì" del referendum e con una successiva legge del Parlamento, a un sistema elettorale integralmente maggioritario. Invece i legislatori presero pari pari il risultato abrogativo del referendum e lo trasformarono in costitutivo di una nuova legge elettorale, per il Senato e per la Camera.
Stavolta, se abrogassimo il 25 per cento attraverso un referendum (anziché, come dovremo fare, con una legge organica del Parlamento interamente maggioritaria), ci troveremmo di fronte a un bis: governo e Parlamento, invece di prendere le mosse dal referendum per darci il sistema elettorale maggioritario ritenuto più equilibrato per il paese (il doppio turno francese, secondo chi scrive), si limiterebbero a prendere atto che l'abrogazione del 25 per cento lascia in piedi un mozzicone di legge uninominale a turno unico, cioè all'americana: come da sempre auspica Pannella. E ci darebbero la legge americana.
Così il referendum abrogativo sarebbe ancora una volta costitutivo di una nuova legge; il Parlamento finirebbe col riscrivere un'altra volta "sotto dettatura" (secondo l'infelice definizione del presidente Scalfaro); infine, spianeremmo la strada - cosa ben più seria e allarmante - al presidenzialismo, che Fini e Pannella, con discorde concordia, non si stancano di invocare: l'uno sapendo, l'altro sorvolando sul fatto che il presidenzialismo, sorretto da referendum plebiscitari e da sistemi maggioritari a un turno, è oggi la concessione massima che si possa fare al post-fascismo.
Personalmente, non ho nessuna intenzione di fargliela. E spero che la Corte, potere "neutro" a parte, tenga conto anche di questo.