VUOTO DA REFERENDUM
E' possibile abrogare organi istituzionali come il
Consiglio superiore della magistratura?
di VINCENZO CAIANIELLO
L'IMMINENZA della pronuncia della Corte costituzionale sui referendum, suggerisce l'esigenza di chiarire i termini del problema relativamente a quelle iniziative referendarie che piu' direttamente riguardano il dibattito politico e cioe' quelle sull'abolizione del sistema elettorale proporzionale per la Camera, il Senato e il Consiglio superiore della magistratura.
Un problema che e' strettamente tecnico ma che occorre semplificare, per far comprendere quella che potra' essere in un senso o nell'altro la possibile pronunzia, ed evitare di essere frastornati dai possibili clamori che l'una o l'altra decisione potranno produrre. Il problema si concentra nel vuoto legislativo che - a partire da una sentenza del 1987 - si ritiene ostativo alla celebrazione dei referendum abrogativi di leggi per l'elezione di organi essenziali per il funzionamento delle istituzioni. Tale sentenza e' stata seguita da altre due del 1995 che per la stessa ragione hanno dichiarato inammissibili i referendum per l'abolizione della quota proporzionale nell'elezione della Camera e del Senato. Si sostiene dalla Corte che l'abrogazione di questo tipo di leggi impedirebbe, fino a che non ne intervengano altre a colmare il vuoto, la rinnovazione dell'organo qualora, per una ragione qualsiasi se ne presentasse la necessita'. Non e' stato pero' fino a oggi precisato come questo orientamento - che impedi
sce referendum abrogativi di leggi, in materie non escluse dalla Costituzione, per ragioni che concernono i risultati della consultazione referendaria - si concili con l'altra concomitante giurisprudenza seguita in tema di referendum, fin dal 1972. Diversamente da quell'orientamento, questa giurisprudenza ritiene invece irrilevante, ai fini dell'ammissibilita', gli effetti derivanti da un risultato positivo della consultazione e cioe' la circostanza
che questo risultato possa produrre una situazione di
incostituzionalita'. Cio' perche', si argomenta, un giudizio del genere sarebbe di tipo preventivo e ipotetico mentre il sindacato di costituzionalita' sulle leggi (in questo caso sull'assetto normativo che deriva dal risultato positivo del referendum) e' successivo e reale. Ma un secondo punto deve ugualmente essere ancora chiarito ed e' quello di stabilire perche' il problema del
"vuoto" non si ponga neppure, quando esso sia determinato da una sentenza di incostituzionalita' di una legge. Per essere consequenziali sul punto dell'"horror vacui" si dovrebbero parimenti dichiarare inammissibili le questioni di costituzionalita' di leggi la cui abrogazione comporti vuoti analoghi a quelli che per i referendum si vogliono evitare, dato che le dichiarazioni di incostituzionalita' producono effetti abrogativi sostanzialmente identici a quelli che producono i referendum stessi. Ma questo la Corte, e giustamente, non lo ha mai detto, neppure quando, nel 1982, dichiaro' incostituzionali proprio alcune norme per l'elezione del Consiglio superiore della magistratura, senza preoccuparsi del "vuoto" normativo che cio' comportava e quindi non attribuendo alcun rilievo all'esigenza di
"continuita'" di quell'organo.
Rimase il "vuoto" normativo fino a quando nel 1985 il
Parlamento non emano' una nuova legge per colmarlo. Non sono dunque ancora chiare le ragioni per cui cio' che e' consentito alle sentenze "abrogative" della Corte non possa esserlo per il potere parimenti abrogativo del corpo referendario. Difatti, nel 1987 e nel 1995, ponendosi sul piatto le due situazioni, quella del rispetto del diritto politico dei cittadini promotori di un referendum in una materia non vietata dalla Costituzione, con quella della "continuita'" di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale - non espressamente prevista dalla Costituzione come ragione ostativa alla celebrazione di un referendum - si e' privilegiata questa seconda esigenza. Per superare l'antinomia e con temperare le due situazioni e' stato anche suggerito di applicare l'articolo 37 della legge sui referendum del 1970, che prevede la possibilita' per il presidente della Repubblica di "congelare" i risultati dei referendum stessi, anziche' come previsto per soli sessanta giorni, fino a quando non sia intervenuta la
legge che colmi il "vuoto". Nel frattempo continuerebbe ad applicarsi la legge abrogata. Qualora si volesse invece confermare la giurisprudenza che paralizza un diritto politico espressamente garantito dalla Costituzione, non resterebbe che prenderne atto e intraprendere la strada degli organismi di giustizia internazionali, previsti per la tutela dei diritti civili e politici.