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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Rinascimento - 27 gennaio 1997
LA STAMPA Giovedi' 23 Gennaio 1997

I CITTADINI FUORI DELLA PORTA

Articolo di Sergio Romano

La lunga crisi costituzionale che si e' aperta nel 1991 non termina con l'approvazione della Bicamerale. Ma questa e' probabilmente la fine del secondo atto. Nel primo abbiamo assistito all'agonia di un regime, demolito dalle esternazioni di Francesco Cossiga, dai referendum di Mario Segni, dalle indagini della Procura di Milano e dalla crescente consapevolezza dei guasti finanziari che la Prima Repubblica aveva provocato negli ultimi quindici anni della sua esistenza. Sono scomparsi, nel giro di qualche mese, alcune centinaia di uomini pubblici: ministri, parlamentari, segretari di partito, consiglieri municipali e regionali, industriali e finanzieri. Nessun altro Paese democratico ha fatto in tempo di pace e senza spargimento di sangue una tale "rivoluzione". Se ne accorsero persino gli osservatori stranieri, finalmente attenti a cio' che stava accadendo in Italia. Nel bene e nel male Silvio Berlusconi e il suo movimento hanno rappresentato, per alcuni mesi, un fatto nuovo con cui occorreva fare i conti. V

i e' stato un momento, fra il 1992 e il 1994, che Paul Vale'ry avrebbe definito "delizioso": un breve intervallo, una sottile "terra di nessuno" nella quale era possibile immaginare che l'Italia, sull'altra sponda, sarebbe stata diversa. Non occorreva essere conservatori o progressisti per avere, in quei mesi, un sentimento di fiducia e di attesa. Molti sperarono che da quel sentimento sarebbe nata, con la

partecipazione di tutti gli italiani, una grande fase "costituente" nel corso della quale avremmo modernizzato il sistema politico italiano e ci saremmo preparati alle grandi sfide, europee e mondiali, degli anni successivi.

Il primo atto si e' concluso con la caduta del governo Berlusconi, tra la fine del 1994 e l'inizio del 1995. Il conflitto d'interessi, gli errori del suo governo, la "variabile indipendente" delle indagini giudiziarie e le spericolate acrobazie politiche della Lega hanno aperto un vuoto politico che e' stato progressivamente occupato, nei mesi seguenti, dai migliori esponenti della vecchia classe politica e da alcuni abili "uomini per tutte le stagioni". Il secondo atto si e' recitato all'insegna della restaurazione. Non intendo dire, con questo, che l'esigenza del rinnovamento costituzionale sia stata definitivamente accantonata. Vi sono, nei due campi, molti uomini politici consapevoli della necessita' di riscrivere, alla luce delle esperienze fatte negli ultimi cinquant'anni, alcune parti fondamentali della carta costituzionale. Ma i restauratori sono riusciti a impedire che il processo sfuggisse al controllo degli addetti ai lavori e finisse nelle mani dei cittadini. Dopo

una breve fase nel corso della quale parve che il popolo "dilettante" avrebbe concorso alla trasformazione del proprio Stato, i "professionisti" sono tornati nella stanza dei bottoni e sono decisi a restarvi. La Bicamerale, quindi, e' il successo di una strategia conservatrice e restauratrice. Ripeto: non tutti quelli che ne faranno parte sono conservatori e restauratori.

Sono personalmente convinto, ad esempio, che Massimo D'Alema abbia per se' e per il proprio partito un disegno politico strettamente collegato alla prospettiva di una grande riforma costituzionale. Il suo discorso ieri alla Camera e' stato abile e convincente. Ma il fatto che le riforme si facciano in Parlamento tra "uomini di

bottega" preannuncia una sorta di "conflitto d'interessi" fra la politica delle istituzioni e la politica dei partiti. Il rischio, come molti hanno osservato, e' quello di un continuo baratto fra le istanze nobili del rinnovamento costituzionale e le ambizioni meno nobili delle forze politiche o dei singoli leader. E' difficile immaginare che i dibattiti della Commissione bicamerale avranno la tensione morale e intellettuale di quelli dell'Assemblea costituente fra il 1946 e il 1947.

Il terzo atto, tuttavia, resta da scrivere. Trattenuti fuori della porta dagli addetti ai lavori, i cittadini italiani possono ancora sperare che il compromesso - perche' di compromesso, inevitabilmente, si trattera' - sia decoroso e tenga conto delle esigenze del Paese. E' lecito sperare, in altre parole, che i nuovi commissari pensino al fallimento delle due precedenti Bicamerali e si rendano conto dei probabili contraccolpi politici di una nuova delusione. Ma vi e' un settore in cui i cittadini possono ancora collaborare alla riforma dello Stato. E' quello della legge elettorale. Se riconoscesse la validita' del referendum per l'abolizione della quota proporzionale, la Corte costituzionale restituirebbe agli italiani il diritto di esprimersi su una legge da cui dipende, di fatto, la forma del sistema politico. Non avremmo la grande fase costituente che molti avevano auspicato; ma avremmo pur sempre un voto popolare che fornirebbe alla classe politica una precisa indicazione sullo stato d'animo e sulle pre

ferenze del Paese.

Sembra di comprendere che le opinioni della Corte sul referendum elettorale sono divise. Forse il peso di questo argomento - permettere che la voce dei cittadini entri fra le quattro mura della Commissione bicamerale - potrebbe aiutarla a sciogliere il nodo delle proprie incertezze.

 
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