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Partito Radicale Rinascimento - 28 gennaio 1997
TRENTA MODI PER SVILIRE I REFERENDUM
Le richieste alla Consulta

di Fausto Cuocolo (*)

(Il Secolo XIX, 7 gennaio 1997)

A partire da domani, la Corte costituzionale inizierà a vagliare l'ammissibilità delle trenta richieste di referendum popolare, dichiarate formalmente legittime dall'Ufficio centrale della Corte di cassazione.

Se la Corte costituzionale si pronuncerà per l'ammissibilità, fra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi saremo dunque chiamati ad esprimerci con un "sì" o con un "no" sull'abrogazione di ben trenta leggi o disposizioni di legge, nelle materie più disparate, dalle carriere dei magistrati alle leggi elettorali, dalla Guardia di finanza alla "golden share" e via elencando. Già questi accenni fanno intendere che ci si trova in presenza di una situazione patologica. Come può pensarsi, ragionevolmente, che un cittadino normale, di media cultura e informazione, sia in grado di rispondere con cognizione di causa a quindici o venti o addirittura trenta quesiti referendari nelle materie più disparate?

Non vuol certo negarsi che la vigente Costituzione, che ha scelto come regola la democrazia rappresentativa, consenta, in via di eccezione, il ricorso a strumenti di democrazia diretta, e così al referendum. Ma non può neppure negarsi la necessità di limiti che impediscano lo svolgimento dell'istituto, sommergendolo sotto una gragnuola di quesiti fra i quali è quasi impossibile districarsi.

Quando si è proposta la scelta fra divorzio sì e divorzio no o fra aborto sì e aborto no, ben poteva attendersi una risposta meditata e responsabile, quale che fosse, da parte degli elettori. E la partecipazione al voto fu, infatti, assai elevata con schede bianche o nulle in numero assai limitato. Poi la situazione è andata mutando, con un preoccupante crescendo di richieste referendarie, e, nella colpevole inerzia del legislatore, che non ha utilizzato compiutamente il potere di regolamentare la materia, che pur l'articolo 75 della Costituzione gli attribuisce, non è restato che guardare al giudizio di ammissibilità rimesso alla Corte costituzionale, con la speranza che altri risolvessero problemi che dovrebbero trovare disciplina nella legge ordinaria, anche sulla base dell'esperienza formatasi.

In effetti, il giudice costituzionale ha fatto quanto poteva, e forse anche di più, a partire dalla sentenza numero 16 del 1978, richiedendo, fra l'altro, per l'ammissibilità dei referendum, quesiti omogenei, tali da rendere possibile un responsabile esercizio del voto popolare. Ora, la palla torna alla Corte costituzionale e da essa si attende una risposta formalmente corretta ma anche idonea a salvaguardare un istituto di partecipazione popolare il cui abuso rischia di minare, anche per questa via, la credibilità delle istituzioni.

Proprio ricollegandosi alla sentenza del 1978, e sviluppandone le motivazioni di fondo, ci si può allora chiedere se la Corte non possa ancora dichiarare che sottoporre al voto popolare più di un certo numero di quesiti referendari (tre o cinque, per esempio) renda di fatto impossibile una risposta dei singoli elettori ponderata e responsabile, con conseguente dichiarazione di inammissibilità (almeno temporanea) dei referendum che superano il numero massimo ritenuto ragionevole. Resta, e non è questione da poco, il problema della scelta dei referendum da ammettersi, fra i tanti proposti. Ci si potrà riferire a criteri di priorità temporale o di omogeneità di materia o di rilevanza istituzionale, per esempio in termini di urgenza. Comunque, la questione è aperta e la Corte ha la capacità, come l'esperienza dimostra, di escogitare decisioni che riescono a salvare i valori voluti dall'ordinamento, contemperando esigenze all'apparenza contraddittorie.

In ogni caso, a noi sembra, la Corte dovrà rivolgere, come ha fatto in tema di decreti-legge, un severo monito al Parlamento perché riesamini la materia e la disciplini compiutamente con legge, garantendo un uso corretto del referendum ed evitando abusi e usi strumentali che finirebbero col minare un importante momento di democrazia diretta.

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(*) Ordinario di Diritto costituzionale nell'Università di Genova.

 
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