Quando un' impresa raggiunge dimensioni tali da affievolire il controllo che su di essa esercitano coloro che ne sono i padroni, allora si producono all'interno dell'impresa "sacche di inefficienza" che attirano gli speculatori in grado di valorizzarle. E' il monento in cui la "public company" diventa bersaglio dei cosiddetti "raiders" che prendono denaro a prestito, comprano l'impresa, spazzano via i dirigenti meno capaci, la smembrano e ne vendono i pezsi.
Come vedi, il mercato crea gli anticorpi contro le grandi imprese che tendono a sclerotizzarsi.
Purtroppo, questi anticorpi utilissimi godono di una pessima immagine in Europa. E la legislazione degli stati europei tende a porre loro dei limiti immensi. In Italia, poi, sono inesistenti.
Eppure, il mercato per funzionare ha bisogno di loro, esattamente come in un sistema ecologico devono esserci i predatori affinche' sia mantenuto un equilibrio.
L'alternativa a questi predatori potrebbe essere un intervento dello Stato che limiti la crescita delle imprese oltre un certo livello. Ma sappiamo ormai con certezza che un tipo di intervento del genere si presterebbe a infiniti abusi e strumentalizzazioni di tipo politico.
Quindi, pur essendo personalmente certo che l'ideale e' avere milioni di imprese medio piccole altamente efficienti, ritengo accettabile che alcune di esse possano crescere al di sopra delle altre senza troppi vincoli di legge: il sistema e' in grado di riequilibrarsi da solo appena la loro dimensione comincera' a consentire il rilassamento della tensione verso il profitto.
Aggiungo che ci sono ormai fior di studi sul modo col quale le grandi imprese possono evitare o rallentare la degenerazione interna. Tutti i metodi sono squisitamente "di mercato". In nessuna universita' seria si studiano piu' gli interventi di stato, se non quale componente della parte "storica" dell'insegnamento.