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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Rinascimento - 1 febbraio 1997
Corriere della Sera Venerdi', 31 Gennaio 1997

OCCASIONE MANCATA

di PAOLO FRANCHI

Lasciamo perdere, per carita', i plotoni di esecuzione, le decimazioni, il golpe bianco. Per spirito liberale, e non per esercitare indebite pressioni, avevamo auspicato che la Corte costituzionale trovasse il coraggio necessario per dare via libera ai referendum, in particolare quelli per l'abolizione della quota proporzionale. Nel medesimo spirito oggi prendiamo atto della decisione contraria. E ci atteniamo a una regola aurea nelle democrazie liberali: le sentenze, tutte le sentenze, vanno in primo luogo rispettate.

Rispettare un giudizio, pero', non significa condividerlo, o rinunciare a chiedersi quali problemi apra e in base a quali logiche sia stato pronunciato. La Corte ha bocciato nuovamente i referendum radicali per il vuoto legislativo che si sarebbe determinato nel caso (scontato) di una vittoria degli abrogazionisti. L'ex presidente della Consulta Vincenzo Caianiello, intervistato oggi dalla nostra Maria Antonietta Calabro', sostiene polemicamente che, con questo criterio, non si potrebbe sottoporre a referendum, se il Parlamento decidesse di vararla, nemmeno una legge che dichiarasse eleggibile solo chi e' gia' parlamentare.

Non siamo versati a sufficienza nel ramo per giurare su questa affermazione. Ma il solo fatto che un costituzionalista del rango di Caianiello avanzi argomentazioni simili ci sembra testimoniare quanto meno della complessita' e della contraddittorieta' del problema. Messe in evidenza, peraltro, anche dall'opposto trattamento riservato, a suo tempo, ai referendum elettorali di Mario Segni. Quelli, si obietta, vuoti legislativi non ne determinavano.

Ma dove e' scritto che in materia elettorale sono ammissibili solo quesiti che manipolano le leggi vigenti?

Finiamola pure qui, anche se sarebbe possibile, ovviamente, formulare altri interrogativi. Che rimandano tutti a un problema di fondo, enunciato piu' volte anche su queste colonne. Nessuno puo' ovviamente chiedere alla Corte di trasformarsi in un organismo rivoluzionario , o anche solo in un pungolo delle riforme, senza metterne pericolosamente in discussione ruolo e natura. Ma e' ben legittimo pretendere che le sue decisioni non siano nemmeno alla lontana sospettabili di rispondere a criteri, chiamiamoli cosi', di »opportunita' politica . Per storia, per composizione, per i meccanismi e i criteri stessi che presiedono alla scelta dei giureconsulti, questo e' invece, purtroppo, un giudizio tanto diffuso quanto, temiamo, fondato. E la sentenza sui referendum non pare proprio destinata a modificarlo. Tra l'altro: trenta erano certamente troppi, ma gli undici lasciati in vita a prima vista sono di quelli che faticheranno assai a conquistare il quorum. Con tutti i rischi del caso per lo stesso istituto referenda

rio.

E quelle forze politiche che sin qui, a destra come a sinistra, hanno messo la testa sotto la sabbia? Ora meritano di essere giudicate solo per i loro comportamenti concreti. Chi e' intenzionato ad andare avanti sulla via di un sistema maggioritario compiuto, a uno o a due turni, non ha che da presentare subito, con la dovuta solennita', proposte impegnative: senza lamentarsi, in caso contrario, di essere tacciato di inciucismo-papocchismo. Quanto allo strumento del referendum e alla Corte costituzionale, se ne occupera', crediamo, la Bicamerale. Se per rinnovare o per restaurare, lo vedremo. E giudicheremo di conseguenza.

 
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