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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Rinascimento - 1 febbraio 1997
la Repubblica 31 gennaio '97

"In Camera di consiglio i partiti non sono entrati"

Il racconto dei giudici della Consulta: "Non ci siamo mai divisi in Polo e Ulivo"

di GIUSEPPE D'AVANZO

ROMA - "Non avevamo ancora cominciato i lavori e c'era gia' chi metteva in guardia il Paese puntando il dito contro la nostra "supina obbedienza alle ragioni di opportunita' politica"". Sorriso. Il giorno dopo, per i giudici costituzionali, non e' solo il giorno della quiete. E' anche il giorno in cui si puo' alzare il velo sull'orgoglio ferito della Corte.

Al Quirinale c'e' il cambio della guardia e la piazza del Colle per eccellenza e' attraversata dalla marcetta della banda dei carabinieri. Il Palazzo della Consulta a Montecavallo e' li', venticinque passi dal Quirinale, attraversata la piazza. Funzionari che rientrano dalla pausa del pranzo. Imponenti commessi in farfallino. Un vigile urbano fuma e fischietta tra se'. Due poliziotti, poco piu' in la', discutono di calcio con passione. Sembra un giorno normale per il Palazzo della Corte costituzionale, anche in questo giorno che, per la Corte, non e' di quotidiana routine. A un centinaio di metri in linea d'aria da qui - nei Palazzi del Potere - la polemica e' al calor bianco. Fine della democrazia, si sente dire. Si grida alla "morte della legalita' e del diritto", addirittura al "colpo di Stato". La Corte costituzionale ha lavorato - e c'e' chi, giudice costituzionale, se ne lamenta - "con il fucile delle piazze e delle piazzate puntato alla nuca". Ma oggi, giorno delle sentenze, i silenziosi corridoi dell

a Consulta sfoggiano un'atmosfera rarefatta e austera, quasi orgogliosa della sua neutrale separatezza dai "rumori" della Capitale. Come se quella grida, qui, non fossero mai arrivate. Ma basta grattare la superficie per toccare un appena contenuto risentimento. La violenta protesta di Marco Pannella, le accuse dei comitati promotori, le invettive sanguinose ("Traditori della Costituzione", "Usurpatori del diritto") arrivano in queste stanze (ingenuita' del cronista?) attutite, ovattate, come per una lontana eco. I tredici giudici costituzionali (il quattordicesimo, Riccardo Chieppa e' malato) reagiscono, secondo carattere, gusto e passione. C'e' chi sorride. Ricorda i tentativi di condizionamento e li minimizza, indirettamente esaltando il ruolo garante della Corte. "Durante i lavori abbiamo letto che era conveniente per D'Alema l'approvazione dei quesiti elettorali e per raggiungere l'obiettivo erano al lavoro alla Consulta i sei giudici vicini all'Ulivo. Peccato, che i sei erano divisi sulla questione esa

ttamente come i giudici considerati vicini al Polo".

C'e' chi, meno paziente, vuole sottolineare: "Il lavoro della Corte e' stato sempre nel passato circondato dalle non benevoli pressioni della piazza, ma mai come in quest'occasione da tanta acrimonia". Ci sono molti che osservano con rammarico appena mascherato come "di fronte agli attacchi velenosi, agli insulti e alle aggressioni, non si sia levata una sola voce istituzionale a difesa dell'autonomia e indipendenza della Corte". Per chi suona la campana? Per il dirimpettaio del Quirinale? Domanda troppo impertinente per queste stanze.

I giudici preferiscono ricordare che "nessuna pressione occulta, riservata, sotto banco e' arrivata alla Consulta". Piu' schietto, un altro giudice sceglie la provocazione: "Insomma, se davvero fossimo stati la Cupola politico- mafiosa che Pannella indica al pubblico disprezzo, potevamo sbrigarci in tre giorni. Un solo colpo e via, come autorevolmente avevano suggerito alcuni costituzionalisti. Una sola sentenza per tutte, o quasi, le trenta richieste, un unico dispositivo per fissare le linea guida sui referendum compreso il numero massimo per ogni tornata. E' incontestabile che il cittadino debba compiere una scelta libera, consapevole, informata.

Quindi, ha da misurarsi con un numero di quesiti congruo a una buona informazione". I tredici giudici costituzionali hanno sgobbato al contrario dall'8 gennaio per 17 giorni, sette ore di camere di consiglio al giorno. "Piu' di cento ore in camera di consiglio se si esclude il lavoro di documentazione, un lavoraccio. Faticoso - si', perche' negarlo? - ma intenso, di altissimo livello, appassionato. Sarebbe interessantissimo pubblicarne il resoconto". Nessuna contrapposizione "politica" precostituita, raccontano i giudici. "Abbiamo lavorato stretti in un assedio velenoso di sospetti. La sciocchezza della nostra sudditanza a questo o quell'interesse politico-istituzionale, se non fosse mortificante per l'immagine di neutralita' di un potere di garanzia come quello che esercita la Corte, farebbe soltanto sorridere. Mai ci siamo divisi in giudici dell'Ulivo e in giudici del Polo. In amici di Scalfaro, Violante, Elia. Nella prima settimana abbiamo affrontato la discussione preliminare sul referendum in generale n

el tentativo di fissare i confini utili a evitare, da un lato, gli abusi degenerativi e, dall'altro, difendere un fondamentale strumento di democrazia diretta. Poi, siamo passati al caso per caso. Ci hanno accusato di aver usato il bilancino. Non e' cosi'. Di volta in volta, abbiamo votato e le maggioranze che si andavano formando erano, anche per ciascuno di noi, imprevedibili". "Veda - aggiunge un altro giudice - si e' detto, piu' o meno, che la Consulta fa quel che gli pare. Baldassarre si e' spinto a dire che la discrezionalita' della Corte e' assoluta. E' una favola. Tesi pregiudiziali non possono passare. Ogni decisione deve essere motivata, deve superare l'esame di una discussione e un confronto superlativo. Le semplificazioni disegnate sugli schieramenti politici o istituzionali - Carlo Mezzanotte, Polo; Valerio Onida, Ulivo; Guido Neppi Modona, Piero Alberto Capostosti, Fernanda Contri, cerniera tra Botteghe Oscure e Quirinale - non servono a capire. In camera di consiglio si sono incrociate culture

e propensioni dottrinali, la dogmatica giuridica dei singoli componenti, le formazioni disciplinari. In quell'aula c'erano costituzionalisti, avvocati, magistrati, giuristi e le maggioranze che via via si sono formate hanno attraversato trasversalmente quel che, con pregiudizio, erano considerate politicamente precostituite". "In una o due occasioni - confida un altro magistrato - abbiamo votato all'unanimita'. Per eliminare, ad esempio, il carattere manipolativo dell'istituto referendario. Quella sorte di "taglia e cuci" grazie al quale eliminando una parola qui e li' nel testo si modificava il significato originario della legge. E' stato il caso della pubblicita' della Rai. Con l'espediente usato dai promotori, la pubblicita' ammessa in un'ora sarebbe stata ridotta dal dieci al due per cento con un intervento strutturale sui parametri del sistema. O nel caso del Servizio sanitario che avrebbe consegnato ai cittadini l'obbligo di pagare e la discrezionalita' del servizio. Classico esempio di quesito ingann

atorio. Altro esempio. I referendum proposti dalle Regioni che a molti di noi sono apparsi avere un impianto eversivo della cultura dello Stato".

 
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