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L'Opinione 31 gennaio 1997

Una Corte di regime

di Arturo Diaconale

I partiti dell'Ulivo tirano un sospiro di sollievo. Se la Corte Costituzionale avesse ammesso i referendum sulla legge elettorale, la maggioranza di governo avrebbe subito un colpo mortale. Sotto la minaccia della consultazione popolare, Pds, Rifondazione ed i "cespugli" di centro avrebbero dovuto affrettarsi a decidere quale posizione assumere di fronte all'abolizione della quota proporzionale ed al nuovo passo in avanti verso il maggioritario secco. Le conseguenze, come testimonia la malcelata soddisfazione per lo scampato pericolo degli esponenti ulivisti e degli uomini di Bertinotti, sarebbero state devastanti. Gli interessi contrastanti dei singoli partiti avrebbero fatalmente prevalso sulla loro esigenza di salvaguardare il risultato del 21 aprile e mantenere in vita il primo governo di sinistra della storia d'Italia.

La Corte, quindi, respingendo i referendum elettorali che avrebbero sconquassato il quadro politico, ha fatto un favore a Prodi, all'Ulivo ed all'intera maggioranza di governo. Lo ha fatto ammantando la sua decisione con motivazioni giuridiche niente affatto inattaccabili. Di fatto la Corte si e' adeguata alla necessita' di stabilita' e di sicurezza dell'esecutivo e della sua coalizione compiendo cosi' un atto squisitamente politico.

E' probabile che i componenti della Consulta abbiano adottato questo comportamento senza fare grandi calcoli sulle conseguenze delle loro scelte. In fondo e' tradizione che la Corte Costituzionale segua il vento. E' stata ottusamente conservatrice nell'era democristiana ed incredibilmente progressista al momento della bufera contro la Prima Repubblica. Era ovvio che tornasse all'ottusita' conservatrice nel momento della restaurazione.

Ma il quadro politico ed istituzionale in cui la Consulta ha tolto di mezzo i referendum scomodi non e' piu' quello di un tempo. Il governo della sinistra non e' un normale esecutivo fondato su una coalizione articolata e friabile secondo le leggi della proporzionale. E' un esecutivo consolidato dal maggioritario e caratterizzato, a causa delle caratteristiche genetiche del Pds e di Rifondazione, da una inarrestabile vocazione all'egemonia che attraverso la sistematica occupazione del potere tende a trasformarsi in regime.

Ne deriva che la scelta della Corte non puo' essere considerata come il consueto frutto della solita subordinazione alla politica. E' molto di piu'. Si tratta di una decisione diretta a consolidare il processo di costruzione del regime della sinistra che trasforma la Consulta da organo istituzionale al di sopra delle parti in organo istituzionale di parte ed al servizio di un preciso schieramento politico.

Ma se la Corte diventa strumento di regime tradisce lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana. E si scava la fossa con le proprie mani legittimando ogni tipo di protesta e di lotta che verra' scatenata dai dodici milioni di italiani scippati dei referendum.

E non basta. Il Polo e D'Alema ora sanno che dalla Bicamerale deve uscire un progetto di riforma istituzionale che parta proprio dalla riforma della Corte Costituzionale. Senza di esso non sono piu' credibili. Ed ogni disegno di ristrutturazione dello Stato diventa una barzelletta.

 
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