L'Opinione, sabato 1. febbraio 1997; Prima paginadi Paolo Pietrosanti
Qualche timida annotazione, più o meno preoccupata o scandalizzata; qualche accennata indignazione per non essere consentita o voluta la presenza delle televisioni e della stampa. Quasi che a questo debba attribuirsi la assenza di intervento, di azione politica dell'Europa e del mondo nel dramma e nella tragedia algerina.
Il disastro dell'Algeria fa il paio con quello della ex-Yugoslavia, che pure gode' del massimo tripudio di informazione, di conoscenza per tutti.
Non occorre la documentazione dei media perché la politica e la e le responsabilità si sostituiscano alle armi e al sangue. Mi sembra che non muti di nulla l'essere presenti o meno telecamere e giornalisti. Ed è un fatto.
Non entro, non voglio entrare - per ora - nel merito della vicenda algerina, che è oltremodo complessa, complesso concorso di prudenze e di sconfitte della politica - o della politica oggi necessaria.
Va detta però una cosa, forse la più triste e grave e disarmante che possa dirsi di fronte a queste tragedie, e al destino che accomuna i massacri, si consumino essi o meno sotto i riflettori della "opinione pubblica internazionale".
Vi è tra Yugoslavia e Algeria una identità di destino e di risvolti che bene Ingeborg Bachmann aveva colto quando faceva dire ad un suo personaggio che i reportage e le cronache delle tragedie e delle guerre, i servizi filmati che recano al mondo la cognizione e le immagini di morte e disperazione non sono che suggello e conferma e alibi per l'assenza delle coscienze, e direi della politica. Quando immagini di ferocia e di guerra ci raggiungono a casa proprio quelle immagini sono il segno e la sentenza della colpevolezza nostra, e il suggello della sconfitta. Se vi è bisogno di immagini cruente di massacri già compiuti perché il massacro cessi, se e quando il massacro diviene immagine questa è già rappresentazione, è testimonianza della sconfitta avvenuta.
Che è la sconfitta del diritto, e della Legge; financo della Legge di qualunque Dio.
Nulla - nemmeno un intervento di tutti i media del mondo, che non vi è stato e non vi è - può correggere il già avvenuto e consumato, la sconfitta anche della mera speranza di Diritto, di Legge, di Contratto.
Meglio, forse, che la tragedia algerina rimanga confinata nel silenzio e nel buio, onde non consentire alibi. Né ai cronisti, né agli storici.
Il Tempio colmo di mercanti era già scandalo, e sconfitta; vi fosse o meno giunto il Nazareno a scacciarli. Anche se per gli storici fu il Nazareno a fare e dare scandalo, salvifico, ma scandalo.
Allo scandalo dell'Algeria seguiranno altri scandali, cui daremo postume risposte. Nella illusione di ripristinare un Diritto e una Legge che non vi sono state mai.
Se il crimine è patologia di un ordinamento, la tragedia algerina, come quella della ex-Yugoslavia, sono la patologia di nulla; sono patologie di una Legge sovranazionale che non c'è. E non sono patologie.