A COLPI DI REFERENDUM
La consultazione popolare non contrasta con la funzione legislatura del Parlamento.
Quali criteri per sfoltire i diciotto quesiti?
Articolo di Vincenzo Caianiello pag.11
Sul nodo dei referendum Andrea Manzella, nel suo lucido articolo di qualche giorno fa, tocca vari aspetti del complesso problema. L'affollamento dei quesiti; il rifiuto netto che sarebbe sempre stato opposto dalla Corte costituzionale sull'uso dei singoli referendum come alternativa alla funzione legislativa parlamentare; il blocco del Parlamento nella sua funzione tipica di legiferare; l'attacco portato alla Corte costituzionale in prossimità del suo giudizio di ammissibilità dei referendum. Su quest'ultimo punto credo che tutti dobbiamo essere d'accordo: sia per la gradualità dell'attacco, essendo la nostra Corte Costituzionale considerata negli ambienti scientifici internazionali, fra le più autorevoli ed avanzate nel contesto delle analoghe istituzioni degli altri paesi; sia per lo sfavorevole impatto di opinione pubblica che quelle intimidazioni suscitano, perché si manifestano come una prova di debolezza. Diversa può invece essere l'opinione sugli altri temi toccati da Manzella. Non sembra difatti, com
e questi sostiene, che la corte abbia mai opposto un netto rifiuto "all'uso di un singolo referendum come strumento alternativo alla funzione legislativa parlamentare". Sembra invece proprio il contrario. A tacere di altri vari casi, basterebbe ricordare i referendum Segni nelle loro due epifanie. Attraverso quesiti, formulati con una sapiente manipolazione, si pervenne alla sostituzione del sistema elettorale proporzionale con quello maggioritario. Non fu questo un uso di referendum singoli, alternativo alla funzione legislativa parlamentare? L'opinione pubblica potrebbe chiedersi la ragione per cui quello che fu possibile con la lodevole iniziativa di Segni non debba essere possibile con l'iniziativa di altri, sol perché questi tenta di intimidire la Corte, che ha invece sempre mostrato di non farsi turbare dagli insulti nella serenità del proprio giudizio. Quanto all'affollamento dei diciotto quesiti referendari, non vediamo quali potrebbero essere i criteri di sfoltimento, dato che qualunque fosse la str
ada prescelta ricadremmo sempre nell'arbitrio, anche se qualcuno degli illustri giuristi menzionati da Manzella ha provato ad indicarne. E veniamo al punto più delicato, quello del blocco della funzione legislativa del Parlamento. Le iniziative referendarie propongono quesiti in massima parte abrogativi e non manipolativi in tema di giustizia. Un tema sul quale, come hanno titolato tutti i giornali, si può qualcosa soltanto se c'è il 'via libera' di tre o quattro certamente benemeriti magistrati del pubblico ministero (non dei 'giudici' come si esprimevano quei titoli). E' certamente più conforme ai principi di un corretto esercizio della funzione legislativa che le trasformazioni avvengano attraverso il corpo elettorale, anziché con forme di consociativismo extra ordinem tra politici e pubblici ministeri. Ormai è opinione diffusa che in tema di giustizia si sia instaurata la 'Costituzione Materiale' (ed eloquente in proposito è quanto avvenuto in questi giorni) che le modifiche legislative su questo tema de
bbano passare necessariamente attraverso il veto o il placet di alcuni valorosi esponenti della magistratura inquirente. Perché essi non entrano direttamente in politica, invece che cercare di lucrare contemporaneamente due rendite di posizione? Ci sarà il 'via libera' da parte loro su riforme sulla giustizia che dovessero muovere nel senso dei quesiti referendari? E' da credere proprio di no e allora è meglio rimanere nel circuito democratico, come cercano di fare le iniziative referendarie, per le quali non si è ancora introdotta la prassi di quei placet.