ZAIRE, MISSIONE POPOLO PERDUTO
Con al Bonino tra i profughi cancellati dall'ONU
Articolo di Marco Zatterin p.9
Si va a Tingi-Tingi, nel cuore della foresta pluviale zairese, per vedere quanto male se la passa il popolo dei 'rifugiati inesistenti'. Lo sguardo di Emma Bonino misura la carlinga argentata del vecchio Dc3 Dakota che già scalda i motori. E' un pezzo da museo che da queste parti fa sei voli al giorno. La commissaria non dice una parola: parla il suo volto, come al solito, e l'espressione suggerisce una certa inquietudine. Il pilota le stringe la mano e l'accompagna alla scaletta. Pochi secondi più tardi la sua minuta sagoma è inghiottita dalla carlinga dell'apparecchio. Il decollo è lento e pesante. Lasciamo Kisangani, la Stanleyville dei belgi, una città fantasma, un posto senza cartoline sino a tre settimane fa regolarmente razziato dalle truppe zairesi in rotta. Adesso che è arrivata la Guardia presidenziale regna un ordine apparente: ferve l'attività del quartiere generale delle organizzazioni umanitarie che servono la Regione e c'è un grande andirivieni di armi, truppe nere e mercenari bianchi in quell
o dell'esercitodi Mobuto, impegnato dal 21 gennaio in una difficile controffensiva contro i ribelli hutu banyamulenge di Lauret Kabila che, forti del sostegno ruandese, ugandese, e (si dice) americano, hanno conquistato l'est del Paese. Il fronte si avvicina in fretta (i ribelli hanno preso Punia e sono ad 80 kilometri) ma la rotta meridionale che taglia l'equatore e conduce a Tingi-Tingi non è considerata ad alto rischio. Per un'ora si sorvola la magnifica foresta che abbraccia il fiume Congo, giusto il tempo per rendersi conto che la vera emozione non è 'salire sul Dakota', bensì 'scendere col Dakota'.
La 'pista' che attende il Dc3 è un tratto di strada in mezzo ad alberi alti, 500 metri di asfalto sbrindellato e polveroso. L'insidia più seria sono però loro, 'i rifugiati inesistenti', una moltitudine di uomini, donne e bambini schierati ai due lati della linea di atterraggio. Quando arrivi li vedi arretrare di qualche passo per far spazio al velivolo; poi la marea umana si richiude rapida dietro la coda e resta ferma lì a guardare. Migliaia di persone allo sbaraglio, 150 mila secondo l'ONU. La verità è che quanti siano realmente non lo sa nessuno. E' Emma Bonino che li chiama 'gli inesistenti'. Gli sta dietro da due anni, da quando cioè l'esponente radicale è stata nominata commissario europeo per gli Aiuti Umanitari. nel marzo del 1995 era già nella regione dei Grandi Laghi, nei campi dello Zaire dove s'erano ammassati i ruandesi fuggiti dopo il conflitto etnico fra hutu e tutsi del 1994. Sino al settembre scorso oltre la metà degli aiuti che hanno tenuto in vita più di un milione di rifugiati è stata pa
gata dall'Europa attraverso Echo, l'Ufficio Umanitario dell'Unione. Fra molte contraddizioni (è certo che con i fondi si sono riarmati anche i miliziani hutu) l'azione è proseguita fino all'insurrezione dei ribelli che ha sventrato i campi e costretto questa gente ad un nuovo esodo. E' stata quasi l'esatta replica dell'inferno del '94. Il 15 novembre l'ONU ha tentato di riportare l'ordine nei Grandi Laghi decidendo l'invio di una forza multinazionale, senza però che nessuno avesse veramente voglia di andarsi ad invischiare in un'altra brutta storia centrafricana: così è bastata un'effettiva accelerazione dei ritorni degli hutu in Ruanda governato dai tutsi di Paul Kagame ad offrire il pretesto per archiviare il programma. Emma Bonino è rimasta la sola a protestare."Mi hanno trattato come un visionaria - racconta - ero l'unica a dire che il dossier Zaire non era chiuso, che i rifugiati non erano fantasmi, che esistevano. Loro, le grandi potenze, non si sono mosse di un millimetro. Hanno stabilito che tutti er
ano rientrati, hanno bloccato l'invio della forza multinazionale, si sono tranquillizzati l'anima e si sono augurati Buona Natale e hanno mangiato i loro bravi panettoni". I rifugiati c'erano, eccome se c'erano. Mentre i ribelli avanzavano verso il Kivu e lo Shaba, da Goma e da Bukavu si sono incamminati nelle selve, mercinado verso nord-ovest. Hanno lasciato per strada centinaia di morti, i più deboli, le donne gravide, i bambini, gli anziani. Decimati dalla mancanza di cibo, dalle malattie, hanno percorso sei-settecento chilometri a piedi, la maggior parte di loro senza scarpe. Ai primi di gennaio, dopo tre mesi di stenti, l'incontro a Tingi-Tingi con l'avanguardia delle organizzazioni umanitarie, le uniche che non avevano mai smesso di cercarli. Un'amara soddisfazione per la Bonino, anche perché all'appello mancano ancora 400 mila ruandesi: "Per l'ennesima volta mi sono trovata a pensare: 'Guarda cosa avremo potuto evitare'. Se avessimo inviato la Forza ONU, non saremo qui a vedere questa guerra e questa
gente che muore". Sul campo la vita è difficile. Tre Dakota atterrano ogni giorno a Tingi-Tingi con viveri e medicinali, ma non basta. Servirebbero 120 tonnellate di cibo al giorno, ne arriva un terzo. Fra le capanne del campo si sta diffondendo il colera e il bilancio dei morti raggiunge la trentina ogni giorno. Altri se ne vanno per inedia e malnutrizione, i bambini soprattutto. In giro si vedono dei cadaverini ambulanti che i volontari cercano in qualche modo di salvare. Molti non ce la fanno. Statistiche non ce ne sono e forse non ne servono. Come succede in questi casi, le incognite sono più numerose delle soluzioni. La Bonino promette che Echo continuerà lo sforzo umanitario (la Commissione ha stanziato in dicembre circa 300 miliardi di lire) e si impegna a ricostruire al più presto la strada fra Kisangani e Tingi-Tingi, in modo da poter recapitare gli aiuti anche via terra. "Così si prende tempo - spiega - e si spera che basti per trovare un antidoto diplomatico per i veleni che uccidono la regione.
Ormai è chiaro che non è un problema di soldi perché l'Unione ha dimostrato di saper essere generosa quando si tratta di firmare gli assegni. E' al momento delle scelte politiche che la disponibilità dei Quindici viene meno".
Diventa fondamentale, assicura la Bonino, il poter accendere un faro su questo "scandalo internazionale", per svegliare l'opinione pubblica, per non essere costretti a dire ancora "guarda cosa avremmo potuto evitare". Ci sarà bisogno di altri viaggi, ma questo non disturba la commissaria perché ama viaggiare e giura che andrebbe all'altro capo del mondo anche in vacanza. "L'altra cosa che mi piace è ballare - confessa - eppure non ho mai tempo. Il più grande dei miei lussi è diventato quello di andare a dormire la sera senza aver messo la sveglia per l'indomani". Le sue giornate sono senza tregua. Ogni tanto pensa di somigliare ad un aquilone. Il capo del filo, racconta, lo impugna la sua famiglia in Piemonte, nella natìa Bra, e lei vola dove la portano gli ideali: "Ho delle radici profonde nelle Langhe, le sento con forza, ed è per questo che con il mio essere transnazionale non sono mai stata apolide". I primi due anni a Bruxelles sono stati intensi ("abbiamo lavorato come matti") e le sono valsi un p
aio di titoli di "Donna dell'anno", nonchè la vittoria del referendum dell'Economist sul miglior commissario UE. IL suo mandato scade nel gennaio dell'anno Duemila. E poi? "Non so cosa farò, non ci penso mai. Nell nuova Commissione europea potrebbe esserci un unico rappresentante per ogni Paese. Io credo di non aver demeritato. So bene, però, che in Italia fa premio il gruppo di appartenenza e non il curriculum. Continuerò a fare politica ed ad occuparmi dei diritti umani, possibilmente a livello internazionale. Di certo non farò la suora". Per quanto strano possa sembrare per un'attivista arrestata dopo aver procurato decine di aborti quando ciò era illegale, a tavola con una sorella missionaria la Bonino troverebbe molte cose da dire. Le due donne scoprirebbero di avere in comune una vocazione a battersi per i deboli, la stessa dedizione e forza di sacrificio, la medesima immensa pietà negli occhi nell'affrontare un diseredato ("è il mio passato che mi aiuta a sostenere il loro sguardo"). La ricambia il ca
rtello appeso al collo di bambino che la saluta mentre torna sul Dc3 e confonde chissà se per caso "Madame Bonino", con "Maman Bonino" la Signora con la madre. Sulla pista di Kisangani da un aereo di fabbricazione russa sbarca una settantina di mercenari bianchi, capelli chiari tagliati cortissimi. I soldati zairesi scaricano casse di munizioni. Più in là qualche elicottero da guerra e un pugno di caccia leggeri Macchi. E' la guerra che sta per arrivare anche qui, mentre le Nazioni Unite tacciono, lo Zaire si lagna e i ribelli di Kabila macinano chilometri nella loro avanzata. I rifugiati sono giusto in mezzo. Aspettano un segno, ora che da 'inesistenti' sono diventati numeri sul tavolo dell'ONU. ma un domani non lontano vorrebbero essere considerati persone.