In un'intervista rilasciata al "Corriere della sera" di ieri, Petruccioli faceva delle affermazioni interessanti a proposito dei punti di dissenso rispetto a D'Alema: "Uno degli interpreti della ripresa partitica, culturalmente e politicamente, è D'Alema ... Nella prima repubblica il giacimento di ricchezza della politica era il controllo dello Stato. Ma è davvero questo l'unico modo di far politica? Non sono d'accordo. Prenda i referendum: D'Alema è stato un referendario freddo. Io no, ci ho creduto. Non come una panacea, ma un processo che coinvolgesse in modo attivo i cittadini ... D'Alema dice: i partiti devono impadronirsi di nuovo del governo. Non sono d'accordo. Uno dei cardini della riforma della politica è che ci sia un rapporto più diretto tra i cittadini e la scelta del governo eliminando l'intercapedine partitica ... Per me è più importante la riforma elettorale. Con il Tatarellum l'elezione diretta porta solo a un presidenzialismo partitocratico. Quello che temo è che dalla Bicamerale esca una d
esignazione forte fino all'elezione del premier ma con una legge elettorale peggiorata a causa di un allargamento della quota proporzionale. Quota che poi rappresenta il ruolo dei partiti." Gli spezzoni qui riportati evidenziano posizioni non lontane dalle nostre. Vorrei prendere lo spunto da questo episodio per porre all'attenzione un problema più generale, rappresentato da un nostro limite analitico, e in particolare da una nostra disattenzione rispetto alle contraddizioni che si aprono all'interno degli schieramenti, e in particolare nell'Ulivo e nei partiti che lo compongono. Non mi riferisco al gruppo dirigente: anzi, Benedetto Della Vedova, ad esempio, con puntualità si inserisce, attraverso comunicati e dichiarazioni, nelle questioni sollevate dai vari esponenti dell'area di governo, denunciando le divergenze interne o sottolineando le novità. Mi riferisco invece più in generale ai militanti e ai simpatizzanti del movimento, che a mio avviso tendono a percepire lo schieramento dell'Ulivo, all'interno
di una (poco liberale) logica amico-nemico, come un indistinto, granitico ed omogeneo blocco politico-sociale. Traggo lo spunto da due episodi degli ultimi giorni per sollecitare un'analisi meno schematica a tale proposito: la scorsa settimana il ministro Burlando aveva sostenuto una riforma delle Ferrovie dello Stato di segno liberalizzatore, tanto è vero che i sindacati hanno subito sparato contro. Sabato scorso lo stesso Burlando ha preso un'iniziativa importante e pro-mercato per quanto riguarda il trasporto aereo, e cioè l'assegnazione dei cosiddetti "slot" alla compagnia Noman, suscitando proteste nell'Alitalia, che vuole mantenere il suo potere di monopolista e i suoi privilegi. Non dico questo per suggerire astruse e irrealistiche strategie di avvicinamento, ma per richiamare ad una lettura della realtà più problematica di quanto non facciamo. In questo quadro condivido l'istanza di fondo sostenuta da Paolo Martini: da laico incallito, mi è sempre suonato male il termine "militante" riferito alla ra
dio, e mi hanno sempre provocato l'orticaria le accuse, a metà fra il dannunzianesimo e il terzinternazionalismo, ai "consumatori" di Radio Radicale (vi è un ché di sublime nel puro, gratuito, passivo consumo di politica). Dietro tutto ciò si intravede una visione pedagogica e un' "etica della virtù" che culturalmente rifiuto. Quanto all' argomento secondo cui la radio è l'organo del partito, e, essendo in tale veste finanziata, deve mantenersi allineata e coperta, bisognerebbe riflettere sulla circostanza che l'Unità, organo del PDS, è molto più critica con D'Alema di quanto Radio Radicale non sia con Pannella.