Il Presidente della Repubblica italiana ha ormai acquisito un'importante funzione di indirizzo politico : è dunque divenuto necessario abolire gli istituti che garantiscono il ruolo super partes di chi ricopre tale carica, ovvero il principio d'irresponsabilità (sancito dall'art. 90 Cost.) e i reati d'opinione (artt. 277 e 277 c.p.).
Un interessante precedente in materia si verificò in Francia durante il passaggio dalla IV alla V Repubblica. L'evoluzione della figura e del ruolo del presidente della Repubblica, infatti, non fu accompagnata dalla modifica delle norme penali dirette a garantirne, sotto un profilo negativo, l'irresponsabilità.
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Offendere il presidente della Repubblica, è noto, vi rende punibili ai sensi dell'articolo 26 della legge del 29 luglio 1881. "L'offesa al presidente della Repubblica in uno dei modi enunciati negli articoli 23 e 28", dice il testo, "è punita con la reclusione da tre mesi a un anno e l'ammenda da 100 a 300 franchi, o con una sola delle due pene."
Ora, chi era presidente alla data del 29 luglio 1881? Jules Grévy. E che cosa si doveva proteggere nel quadro della Costituzione del momento, quella del 1875? Una funzione eminentemente rappresentativa ma irresponsabile, un personaggio, il primo dello Stato, secondo il protocollo, ma che non aveva esistenza politica autonoma al di fuori del governo, un "cippo [elemento di riferimento, ndt]", secondo Clemenceau, "cui era attaccato il carro dello Stato".
Un cittadino scontento dell'andamento degli affari pubblici aveva il diritto di prendersela a modo suo con il proprio deputato, i ministri, il presidente del Consiglio, di gridare le proprie ragioni sui tetti, di scriverle e diffonderle in centinaia di migliaia di esemplari, poiché la legge del 1881 escludeva anche la nozione di delitto d'opinione. Ma non aveva il diritto d'offendere il capo dello Stato, altrimenti commetteva un "delitto contro la cosa pubblica" e non un "delitto contro le persone". In effetti, attaccare un presidente della Repubblica che non esercitava che un ruolo arbitrale e non aveva a nessun livello la responsabilità della politica del paese, significava uscire dai limiti tradizionalmente riconosciuti del dibattito d'opinione. Offenderlo equivaleva sia a contestare la moralità dei suoi atti privati (e quindi era giusto che, così come qualunque altro francese, potesse difendersi in tribunale), sia a dileggiare l'istituzione, ed era normale che la Repubblica si difendesse proteggendo il
carattere augusto del suo primo magistrato.
La legge del 1881, a cui si richiamano tutti i giudizi che dal 1959 sanzionano "l'offesa al presidente", era, nello spirito dei suoi autori, un testo liberale interamente ispirato al rispetto scrupoloso della libertà d'espressione, e il suo articolo 26 non era rigoroso che nella misura in cui precisamente questa offesa concerneva un delitto che, per definizione, non poteva all'epoca essere considerato come delitto d'opinione, poiché il capo dello Stato si situava al di fuori del circuito politico.
Nel corso della discussione del 1881, deputati, senatori e membri del governo avevano rivaleggiato in proclamazioni di fede liberale. L'onorevole Lisbonne -relatore della Commissione di ventidue membri che, alla Camera dei deputati, aveva esaminato la proposta Naquet tendente ad abrogare tutte le leggi, tutti i decreti, tutti i regolamenti che restringevano la libertà di stampa- aveva insistito vigorosamente: "Le leggi precedenti avevano moltiplicato le incriminazioni in materia di stampa; avevano creato veri e propri delitti d'opinione, in dottrina, di tendenza. Quando abbiamo cercato di caratterizzare l'operato della Commissione, abbiamo affermato che il progetto realizza il programma della più ampia libertà, abbiamo affermato che il progetto non inquadra nella categoria incriminata dal diritto comune la manifestazione di nessuna opinione, quale che essa sia. Abbiamo detto: Mai più delitti d'opinione... E ancora: Vi proponiamo una legge di affrancamento e di libertà." Tema su cui, in una circolare, il Gu
ardasigilli, Jules Cazot, aveva rincarato: "Gli oltraggi alle Camere e l'oltraggio al governo della Repubblica sono stati soppressi a causa del loro carattere politico... Abbiamo cacciato il delitto d'opinione... E' una legge di libertà quale la stampa non ha mai avuto, in nessun tempo." Abbiamo letto bene: la legge del 1881, concepita, discussa e votata per cancellare le ultime tracce della legislazione autoritaria ereditata dal Secondo Impero, non ha mantenuto l'offesa al presidente della Repubblica che nella misura in cui questa offesa non presentava carattere politico. E al fine di evitare deviazioni o interpretazioni abusive, ha posto il delitto d'offesa sotto il titolo "delitti contro la cosa pubblica", dove appaiono anche, eccettuato ogni altro [delitto], le notizie false e l'oltraggio al buon costume. In breve, [la legge] ha rappresentato una delle vittorie più eclatanti della libertà d'opinione. Eppure, proprio quella legge serve oggi ad armare la repressione che, di settimana in settimana, colpisce
gli articoli di giornale e le manifestazioni orali, a volta eccessive ma non illegali, d'opinioni ostili al generale de Gaulle. Non sarebbe più onesto constatare che il personaggio che la legge intendeva garantire contro l'oltraggio, intendo il presidente-arbitro modello 1875, non esiste più? E che colui che l'ha sostituito, il presidente modello 1958, il presidente-capo del potere esecutivo, capo di partito, è responsabile degli atti del governo; e che, quando costui invoca l'articolo 26 della legge del 29 luglio 1881, manca nel modo più evidente alle intenzioni e alla volontà del parlamento repubblicano nato dal trionfo dei 363 contro il colpo di mano di Mac-Mahon?
[François Mitterrand, Le coup d'Etat permanent, 1964]