3. LA LEGGE REBUFFA
3.1. La legge Rebuffa dovrebbe (o avrebbe dovuto) conferire rango di legge ordinaria alla teoria della cd. ultrattività delle leggi elettorali. Teoria che, fondandosi sul principio di continuità delle leggi elettorali, differirebbe la cessazione dell'efficacia della precedente normativa elettorale al momento in cui la nuova normativa fosse completa e, quindi, operativa.
3.2. Quando la Corte costituzionale dovrà decidere sui due quesiti incondizionati e sui due opportunisti, si avranno due casi:
a) la legge Rebuffa non ci sarà (perché non approvata o, come sostiene Leopoldo Elia -le cui opinioni convergono spesso con quelle della maggioranza dei giudici costituzionali-, perché dichiarata incostituzionale nel corso del giudizio di ammissibilità dei referendum elettorali);
b) la legge Rebuffa sarà in vigore (ipotesi oramai poco più che scolastica).
Nel primo caso il rischio di bocciatura sarebbe maggiore, ma i quesiti opportunisti passerebbero comunque. Nella seconda ipotesi, invece, passerebbero sì tutti e quattro i quesiti, ma, mentre i due vecchi referendum sarebbero di fatto consultivi -in quanto, non essendo autoapplicativi, sarebbero sospesi fino al benevolo intervento integrativo del Parlamento (non si sa quanto sollecito)-, i due referendum opportunisti diverrebbero comunque operanti da subito, causando l'inevitabile smottamento politico, di cui s'è detto.
3.3. E quindi, diciamocelo, la legge Rebuffa è viziata da incostituzionalità in quanto e nella misura in cui degraderebbe il referendum elettorale (con effetti non autoapplicativi), in fatto e in diritto, a referendum consultivo, l'efficacia del referendum essendo sospesa sine die.
3.4. Pertanto, se l'obiettivo comune è di permettere agli elettori di censurare l'inquinamento proporzionalistico presente nelle due leggi elettorali, i due quesiti opportunisti sarebbero parimenti efficaci sotto il profilo politico, ma con la non trascurabile differenza di esserlo anche sotto il profilo giuridico.
Com.Di.R.El.C.U.