IL REBUS DELLA CORTE
Di Stefano Rodotà
Alla Corte costituzionale si possono rimproverare molte cose in materia di referendum: ma sicuramente non ha ignorato i problemi determinati da una legge non adeguata a regolare un istituto politicamente così delicato. Quante volte, nelle sue sentenze e nei discorsi dei suoi presidenti, si è richiamata l'attenzione del Parlamento sulla necessità di modificare quella legge? Di nuovo, dunque, è un organo giudicante a dover sopportare le conseguenze della disattenzione dei legislatori. In quest'ultima carica referendaria, tuttavia, vi è una novità rilevante: sono ben dodici le richieste provenienti dalle regioni, che impediscono di valutare la vicenda con la solita chiave dell'esuberanza pannelliana. Questo vuol dire che il problema del referendum è diventato più complesso perché, ad esempio, i rimedi non possono essere cercati soltanto nella rituale proposta di aumentare il numero delle firme per le richieste referendarie. Non si può certo pensare, infatti, ad un aumento del numero dei consigli regionali (or
a sono cinque) necessari per chiedere un referendum. Inoltre, per non ragionare sempre con gli occhi rivolti al passato, bisogna cominciare a riflettere sul fatto che la dimensione referendaria è esaltata dalle nuove tecnologie della comunicazione, che renderanno sempre più agevole la consultazione dei cittadini.
Ricordo queste cose perché mi sembra difficile realizzare due obiettivi indicati in questi giorni: il "ritorno alle origini" del referendum e un suo ridimensionamento da parte dei giudici costituzionali. Proprio l'iniziativa delle regioni rende più evidente il fatto che il malessere si è trasferito dalla società all'interno delle istituzioni, e trova nel canale referendario l'unico modo fisiologico per manifestarsi. Si potrebbe concludere, allora, che il ricorso al referendum si presenta come un'alternativa a forme più dirompenti di conflitto tra organi dello Stato. Intanto, pero, invece di analizzare I criteri già messi a punto dalla Corte, e valutare in base a questi l'ammissibilità del quesito, si fa un gran pettegolezzo su presunte vicinanze politiche dei giudici della Consulta, su "cordate" cittadine che li legherebbero, per trarre da qui auspici sulle decisioni della Corte. Con toni ultimativi, anzi, si ingiunge ai giudici di ammettere i due referendum in materia elettorale, sostenendo che, se decidess
ero in maniera diversa, manifesterebbero la loro volontà conservatrice e la loro partecipazione a un complotto per restaurare la detestata Prima Repubblica. E questi inviti arrivano da politici e commentatori che, spesso con toni saccenti, danno lezioni sullo Stato di diritto e poi, in concreto, rivelano una concezione tutta strumentale della legalità. Già in passato, infatti; la Corte ha ripetutamente ritenuto inammissibili i referendum elettorali, con criteri magari discutibili, ma ormai consolidati. Di forzatura, dunque, si dovrebbe parlare se i giudici ammettessero quei due referendum, contraddicendo le loro passate posizioni. Che le cose stiano così, peraltro, lo conferma una proposta di Forza Italia, che vuole modificare la legge elettorale proprio per evitare in caso di abrogazione di qualche sua norma, il rischio di bloccare le elezioni (che è 1a ragione per la quale la Corte ha negato l'ammissibilità dei referendum in questa materia). Sempre ragionando sul modo in cui la Corte si è mossa in passato
, si possono fare altre previsioni. Mi limito ad accennare alla probabile dichiarazione di inammissibilità dei referendum sul sistema elettorale del Csm (per le ragioni già indicate), sulla tassazione dei dipendenti pubblici (per il divieto costituzionale di sottoporre a referendum norme tributarie), sul sistema sanitario (perché si inciderebbe sulla salute come diritto fondamentale). E faccio questa breve elencazione soprattutto per invitare a valutare le sentenze della Corte una per una, analizzandone il merito, invece di cedere alla tentazione di concludere che tanto maggiore sarà il numero dei referendum non ammessi, tanto più grande sarà il favore fatto a buona parte del sistema politico. E' vero, tuttavia, che le decisioni in materia referendaria sono quelle in cui la Corte si e mostrata più sensibile alle esigenze della politica. Ma da questa constatazione non si può trarre la conclusione che sia un organo conservatore, la "cupola mafiosa del sistema partitocratico" . Al contrario, la Corte ha avuto u
n ruolo essenziale nel modificare equilibri congelati, smantellando il testo unico di pubblica sicurezza, anticipando il Parlamento in materie come 1' aborto e la privacy , aprendo ai privati il sistema radiotelevisivo. E allora, invece di occuparsi della Corte solo quando arriva la stagione dei referendum, sarebbe il caso di seguirne tutto il lavoro, per esercitare un controllo continuo e diffuso. Invece di almanaccare sulla vicinanza dei giudici costituzionali a questo o quel partito, bisogna chiedere la pubblicità dei loro voti e delle loro opinioni, dando trasparenza all''attività della
Corte. Solo cosi possono crearsi le condizioni per sottrarre i giudici ai tentativi di condizionamento che, ovviamente, si fanno più intensi nei momenti politicamente caldi.
Peraltro, il peso politico delle decisioni della Corte è venuto crescendo proprio perché via via cambiava la funzione dei referendum. Da strumento di decisione su singole grandi questioni, come il divorzio, si è trasformato prima in mezzo di pressione sul Parlamento,poi in scorciatoia per ogni riforma. In questa trasformazione non mi inquieta il fatto che il referendum sia divenuto un modo per determinare l'"agenda"politica, incrinando in questa materia il monopolio di Parlamento e governo, perché il potere di definire le questioni da affrontare si va opportunamente diffondendo nella società, ed è già passato in molti casi al sistema dei media. Mi colpisce la crescita incontrollata del
numero dei referendum, quasi che l'importanza di una tornata referendaria dipenda dalla loro quantità, e non dalla qualità dei quesiti. Mi preoccupa una inflazione referendaria che rende sempre più difficile per Mi preoccupa una inflazione referendaria che rende sempre più difficile per i cittadini l'informazione necessaria; per una ragionata risposta a ciascun referendum, per quella discussione corale che fece maturare la coscienza civile ai tempi del voto sul divorzio e sull'aborto. E non basta replicare ricordando l'intensità di certe stagioni referen darie in Svizzera o negli stati americani: li, a parte ogni altra considerazione, ci si comincia a interrogare proprio sul ruolo dei referendum nella società dell'informazione, con il rischio che cresca una democrazia delle emozioni e non della riflessione. Inoltre, il ricorso esasperato ai referendum mi ricorda una tattica radicale del passato, I'ostruzionismo parlamentare spinto all'estremo, che portò ad una riduzione dei poteri dei parlamentari. Non vorre
i che 1' inflazione referendaria offrisse oggi 1'occasione per una riduzione secca del potere dei cittadini, mentre serve una più meditata riflessione sul referendum nel suo complesso, proprio per salvaguardarne l'essenziale funzione democratica. Intanto, non resta che servirsi del diritto che abbiamo. E augurarsi che venga ben applicato.