LA REAZIONE DEL COSTITUZIONALISTA DEI CLUB: "CONSULTA MIOPE. I REFERENDUM? QUASI SPACCIATI".
Il prof. Caravita: attendiamo le motivazioni, ma credo che sceglieremo la strada della magistratura ordinaria. Senza troppe speranze, però. Grave se i giudici hanno voluto salvare la sostanza della legge.
Di Enrico Caiano
MILANO - "Stupito. Sono fortemente stupito. La Consulta ci ha voluto chiudere la porta in faccia". Delusione, amarezza ma anche sorpresa: la reazione del professor Beniamino Caravita di Toritto, docente di diritto costituzionale a Perugia, difensore dei 30 referendum (pannelliani e regionali) dinanzi alla Corte costituzionale e promotore anche del conflitto di attribuzione per la nuova legge sul finanziamento pubblico dei partiti, ha un po' di tutte queste cose. Sia lui sia l'altro costituzionalista, Giovanni Motzo, già ministro per le Riforme nel Governo Dini, hanno combattuto a fianco la battaglia referendaria dei Riformatori prestando senza richiedere compenso la loro consulenza giuridica. E una Corte così "miope" non se l'aspettavano davvero.
Professore, questa prima decisione della Consulta che ha dichiarato inammissibile il conflitto d'attribuzione, vi è arrivata addosso come un fulmine a ciel sereno?
"Direi di sì. Perché sotto un profilo costituzionale sicuramente c'erano una serie di elementi fortemente favorevoli all'ammissibilità. C'è il precedente del '95 in cui questo stesso comitato era stato legittimato dalla Corte a sollevare il conflitto sulla cosiddetta "par condicio". E' vero che ci sono delle differenze tra le due situazioni, ma sarebbe stato più giusto valutarle nel merito".
Dalla Corte si aspettava dunque un piccolo segnale che non è arrivato?
"Certo, il segnale è semplice: la Corte doveva dire che di questi problemi, e cioè se esista o meno un vincolo per il legislatore al rispetto di una volontà referendaria (quella contro il finanziamento pubblico ai partiti espressa il 20 aprile '93 dagli elettori al 90,3 per cento; ndr), l'Italia può discutere. Ricordiamoci che qui la tanto citata inflazione dei referendum non c'entra proprio : ieri bisognava soltanto decidere se questo Paese vuole questa politica, accetta questo tipo di finanziamento ai partiti, oppure no. Per questo sono fortemente stupito della decisione anche sotto il profilo sostanziale. E ho un sospetto che renderebbe la decisione ancora più grave".
Quale?
"Che la consulta, appigliandosi a qualche profilo formale, che per ora posso solo ipotizzare in quanto non è ancora nota la motivazione, abbia voluto salvare la sostanza della legge".
Dunque emerge una Consulta legata filo doppio al potere politico?
"Non voglio dire questo, lascio a chi fa politica questo tipo di valutazioni. Certo esprimo la mia delusione, oltre che come difensore, come cittadino e professore di diritto costituzionale. Questa decisione ha inoltre una gravità estrema anche sotto il profilo politico: non dimentichiamo che arriva dopo un dibattito avvenuto nel Paese in questi giorni e dopo che tutti gli ex presidenti della Consulta consultati si erano pronunciati a favore dell'ammissibilità del conflitto: da Caianiello a Baldassarre, a Gallo, persino Paladin, che sosteneva l'infondatezza nel merito, era però d'accordo sull'ammissibilità".
E adesso? Ricorderete alla via della magistratura ordinaria?
"Attendiamo le motivazioni. Sia però che la Corte abbia voluto sostenere che non si può sollevare il conflitto di attribuzioni su una legge, sia invece abbia voluto intendere che il comitato promotore del referendum non può sollevarlo perché è morto nel '93, dopo il referendum stesso, la via ordinaria è possibile".
Ma con la via ordinaria avreste qualche probabilità di successo?
"Siamo realisti: con un segnale così pesante dall'Alta Corte, la magistratura ordinaria cosa può fare? Dovrebbe avere molto coraggio, invece l'esperienza ci dice che in casi come questi la reazione è piuttosto di accondiscendenza. E' normale che sia così. Non è invece normale che la Corte su materie così "alte" decida di rinviare ad altri e di non decidere. Insomma decida di non fare il giudice. Questa è miopia".
Questa decisione è destinata ad avere ripercussioni anche sulla pronuncia della Corte sui 30 referendum?
"Mi augurerei di no. Ma certo non posso preoccuparmi. Il segnale è inequivocabilmente negativo. Non diciamo ancor che tutto è perduto, però neppure illudiamoci troppo: dobbiamo essere preparati. Non possiamo aspettare fiduciosi e poi dover riconoscere alla fine che, cole si dice "ci stanno fregando".
Si sente meno libero dopo questa pronuncia?
"Mi accorgo di vivere in un Paese dove il supremo organo della magistratura decide di chiudere la porta in faccia a chi vuole discutere di un tema istituzionale. E questo non è bello. Certo non darò mai il 4 per mille del mio Irpef ai partiti. Anche se, da costituzionalista, credo nella funzione dei partiti politici".