DI FRONTE ALLA TRAGEDIA IL MINISTRO DELLA DIFESA SI RENDE IRREPERIBILE
ANCHE ANDREATTA SI DA' PER DISPERSO
Poi prende finalmente una decisione: scrive un comunicato
I RIFORMATORI IN PIAZZA CHIEDONO LE SUE DIMISSIONI
Di Massimiliano Lussana
Il tono è molto italiano: militarmente accomodante, gentilmente brusco. Dall'ufficio stampa del dicastero della Difesa, l'informazione arriva come un bollettino di uno spostamento di truppe: "Spiacenti, il ministro non è a Roma". E sembrerebbe una buona notizia, la certificazione ufficiale che Beniamino Andreatta è in prima linea a Brindisi, sul molo in mezzo ai soccorritori e agli albanesi che cercano i loro parenti, ultimo avamposto di una battaglia di una umanità che supera ogni divergenza politica sull'accoglienza ai profughi. Sul molo, Andreatta non c'è. Così come non è a Roma a rispondere al solito dibattito parolaio che segue ogni disgrazia, dimissioni - chiarimenti - convocazioni - delucidazioni - ammissioni. Ma il ministro non c'è. Resta a casa sua, a Bologna.
Dal dicastero della Difesa arrivano solo silenzi rumorosi e l'unico commento su carta intestata sottoscritto da Beniamino Andreatta arriva sui terminali dell'Ansa a più di venti ore di distanza dallo scontro fra la corvetta italiana e la nave carica di profughi, dieci righe gelide di quel calore che si trova solo nei messaggi di Stato. "Ho appreso con profonda commozione - scrive il ministro della Difesa italiano al suo omologo albanese Shaquir Vukaj - la notizia del tragico incidente marittimo in cui hanno perso la vita suoi connazionali. In questa triste circostanza la prego di voler accogliere i sentimenti di commosso cordoglio delle Forze Armate italiane e le espressioni della mia personale sentita partecipazione al dolore delle famiglie e del popolo albanese". Dieci righe partecipate come sanno esserlo i telegrammi di partecipazione, che si concludono con le condoglianze di rito: "Ai familiari chiedo di partecipare le mie sincere condoglianze: a quanti sono rimasti feriti formulo i più vivi auguri per u
n sollecito ristabilimento". Dieci righe che scivolano silenziose, quasi inosservate. Troppo silenziose, in una giornata che, fuori dai Palazzi ufficiali chiusi nei loro velluti ovattati da chiusura pasquale, fa rumore: i pannelliani manifestano sia in mattinata sia nel pomeriggio davanti a Palazzo Chigi per chiedere le dimissioni del ministro e il loro leader firma una pagina di politica radicalmente pasquale: "Non ho nulla contro Andreatta - spiega Marco - ma è per moralità politica che il ministro avrebbe dovuto rimettere il proprio mandato, non per colpe soggettive ma oggettive". Gli obiettivi di coscienza non violenti si aggregano ("Andreatta deve immediatamente dimettersi, è il minimo che si può chiedere") e dalla maggioranza il senatore comunista Giovanni Russo Spena definisce "insopportabile" il silenzio istituzionale. I fax con le richieste di convocazione di Camera e Senato e delle commissioni Esteri e Difesa perché i ministri competenti riferiscano in Parlamento si accumulano sui tavoli dei respon
sabili istituzionali e il presidente della commissione Difesa di Montecitorio Valdo Spini ci prova, senza risultati: "Ho sentito Andreatta, ma credo che per il momento non ci sia nessuna convocazione in vista. Se ne riparla dopo Pasqua". Lui, Beniamino, è irrintracciabile. Protetto solo dal fax che sputa le condoglianze al collega albanese e dalle domande retoriche di una giornata in cui sarebbe utile persino la retorica di un ministro che accorre sul luogo di una disgrazia di cui certamente non ha alcuna responsabilità, ma di cui altrettanto certamente è chiamato a rispondere politicamente. I funzionari del ministero, gentili e inopportuni, sgranano in continuazione domande senza risposte: "Non si ravvede la necessità di una sua presenza a Brindisi o a Roma. Perché il ministro della Difesa dovrebbe muoversi?". E restano domande senza risposte anche quelle che Il Giornale vorrebbe fare al ministro. La richiesta di intervista muore sul cavo del telefono mentre Andreatta risponde al giornale della sua città, I
l resto del Carlino. E' arrivato a Bologna venerdì sera in compagnia di Romano Prodi, l'allievo prediletto con cui si danno del "lei" accademico e del "tu" politico. Lo stesso Romano Prodi che, secondo la leggenda falsinea, il giorno che il suo Beniamino fu piazzato per la prima volta in un ministero non economico coniò la battuta: "Hanno fatto Andreatta ministro degli Esteri? Speriamo che non dichiari guerra agli Stati Uniti". Un salto alla libreria Feltrinelli sotto le due torri e un pellegrinaggio nei negozi di fiducia. Chiuso nel clima pasquale di Bologna, il ministro riesce paradossalmente ad assecondare l'ex senatore pannelliano Sergio Stanzani che lo invitava alle dimissioni: "In queste circostanze chi ha responsabilità deve assumersele e trarne le conseguenze. Andreatta deve andare a farsi una passeggiata per i portici della sua , e mia, Bologna". Avrebbe voluto essere solo una battuta ironica.