SOLDI AI PARTITI, PANNELLA NON SI RASSEGNA
"Vittima di un plotone d'esecuzione". Denunciata in Procura la decisione del Parlamento.
Il leader riformatore critica duramente il via libera della Consulta alla legge sul finanziamento.
ROMA - Per Marco Pannella almeno la prima partita è persa. Nel decidere sul finanziamento pubblico dei partiti la Consulta gli ha dato torto dichiarando inammissibile il suo ricorso sul presunto conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato e dando così un formale via libera alla legge che "reintroduce" il sistema di sostentamento dei partiti che era stato abrogato nel 1993 dal referendum. Il leader riformatore non nasconde amarezza: "Se la Corte ci avesse dato ragione, sarebbe stata una cocente sconfitta per il presidente Scalfaro, che aveva deciso di promulgare la legge, proprio per salvarla, probabilmente, dalla spada di Damocle della Corte e della nostra riconosciuta legittimità ad agire. Scalfaro ha voluto, evidentemente, far capire bene chi è il padrone. E la Corte ha seguito". Pannella si augura che "non si tratti della prima vittima di un plotone d'esecuzione, per conto del regime e dei suoi malfattori". ""E' evidente che il regime partitocratico, nemico e traditore della Costituzione, del diri
tto , della libertà dei cittadini ha paura e reagisce stringendosi in modo da rendere evidenti quelle catene di omertà e di complicità che ne caratterizzano il potere. Percorreremo - aggiunge Pannella - tutte le vie legali, probabili o improbabili, fin quando non troveremo un "giudice a Berlino". Detto fatto, i promotori dei referendum del 1993 sul finanziamento (tra i quali Paolo Vigevano, segretario e tesoriere del movimento dei Club Pannella Riformatori) hanno esaudito all'istante le volontà del leader presentando una denuncia presso la procura della Repubblica di Roma in relazione alla approvazione da parte del Parlamento della legge che lo reintroduce. "I destinatari del finanziamento - scrivono i denuncianti - sono infatti gli stessi della legge abrogata, vale a dire i partiti e i movimenti politici rappresentanti in Parlamento. Identica è la provenienza delle somme trattandosi in tutte e due le normative di fondi pubblici, sottratti al bilancio dello Stato. La contraddizione con il risultato dei refer
endum non potrebbe essere più palese. Qui non c'è nessun meccanismo volontario di attribuzione ai cittadini: c'è la semplice, sfacciata, autoattribuzione di somme da parte dei partiti sottraendoli al bilancio dello Stato". Del resto, la decisione della Corte sul finanziamento ai partiti" ha lasciato "interdetto" anche Mario Segni. "E' una sentenza che mi lascia perplessità ed angoscia". Per il leader dei Cobac "rischiamo non soltanto di calpestare la democrazia referendaria, ma di calpestare alcuni fondamenti della democrazia". Anche Antonio Martino e Marco Taradash criticano la decisione della Corte costituzionale di respingere il ricorso presentato da Pannella sulla legge per il finanziamento dei partiti e propongono un nuovo referendum. "Non sono un esperto di diritto costituzionale - dice Martino - ma a me sembra che non da motivazioni giuridiche è stata determinata questa decisione, ma da ragioni di opportunità politica. Se fosse vero sarei molto preoccupato perché significherebbe che l'organo supremo d
i controllo della costituzionalità della applicazione delle leggi è condizionato in maniera non accettabile". E per Taradash "la Corte ancora una volta si rivela ancella del sistema dei partiti e chiude con la sua decisione il capitolo della restaurazione partitocratica". Sulla necessità dell'imparzialità di giudizio della Consulta dice la sua anche Achille Occhetto: "La Corte sta esaminando l'ammissibilità dei referendum, è bene che lo faccia nella più completa autonomia, senza condizionamenti esterni".