REFERENDUM: NO ALL'ANTICIPO DEL VOTO.
IL SENATO PER UN RINVIO IN AUTUNNO
Bocciata la mozione che chiedeva al Governo di spostare la data dal 15 giugno a maggio.
E' passato un ordine del giorno presentato da Andreotti per rimandare la consultazione ad ottobre novembre con una apposita legge. Ma manca il consenso determinante dei Comitati promotori. Prodi aveva incontrato ieri mattina Pannella.
Di Giuseppe F. Mennella
ROMA - Non ci sarà anticipo di data per la celebrazione degli undici referendum promossi dai radicali e da alcune Regioni. Ora dovrà essere il governo a fissare la domenica in cui far svolgere le consultazioni. Ieri l'aula di Palazzo Madama ha bocciato con larga maggioranza la mozione firmata da una ottantina di senatori per impegnare il governo a fissare la data in una domenica antecedente il primo di giugno. La mozione non solo è stata respinta, ma rischia ora di trasformarsi in un colossale boomerang per gli stessi promotori dei referendum. La sorpresa è giunta da Giulio Andreotti, che pure è tra i firmatari del documento parlamentare. Sul finire della seduta ha chiesto la parola per avanzare una modesta proposta: approvare una leggina per spostare la consultazione in autunno, in modo da non sovrapporre in questa primavera voto amministrativo e voto referendario e per consentire alla commissione bicamerale di concludere serenamente il suo lavoro di riforma istituzionale. Andreotti ha ricordato il precede
nte di analoga legge, nell'87 per il referendum sul nucleare. Queste tesi l'anziano senatore a vita le ha messe nere su bianco in un ordine del giorno: il Senato lo ha approvato e il governo, per bocca del ministro dell'Interno Giorgio Napolitano, ha detto che il contenuto dell'ordine del giorno sarà preso in attenta considerazione. In realtà, sono già individuabili un paio di buoni motivi per considerare difficile il rinvio all'autunno degli undici referendum. Un motivo è scritto nello stesso ordine del giorno di Andreotti: il rinvio è condizionato esplicitamente al consenso dei comitati promotori dei referendum. E questi - secondo quanto riferiscono i radicali - sono contrari a spostare la data a ottobre o novembre. Ma il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, considera invece "accettabile" il rinvio, pur di evitare la domenica 15 giugno, considerata giornata di esodo delle famiglie dopo la chiusura delle scuole. Il secondo motivo riguarda le elezioni amministrative: si svolgeranno anche ne
l prossimo autunno e riguarderanno molti comuni e anche grandi metropoli come Roma e Napoli. Dunque, il problema di non sovrapporre date elettorali e campagne elettorali se vale in questa primavera varrà anche per il prossimo autunno. A questo punto - anche sulla base del dibattito parlamentare di ieri in Senato - il "pallino" è di nuovo nelle mani del governo. Sarà il Consiglio dei ministri, autonomamente, a decidere se confermare l'orientamento di celebrare i referendum il 15 giugno, che è l'ultima domenica possibile. La legge, infatti, stabilisce che questo tipo di consultazione si deve svolgere in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. La data di svolgimento deve essere fissata da 50 a 70 giorni prima. Non si può escludere che il Consiglio dei ministri decida già oggi di confermare (o di modificare) la sua decisione dell'11 marzo, quella di chiamare alle urne gli italiani il 15 giugno. In mattinata il presidente del Consiglio, Romano Prodi, aveva ricevuto Marco Pannella e subito dopo av
eva fatto sapere che il governo si sarebbe rimesso alle decisioni del Parlamento. In sostanza, se il Senato avesse approvato la mozione per anticipare le consultazioni referendarie, l'esecutivo si sarebbe adeguato, modificando dunque la sua decisione dell'11 marzo. Con poca passione e convinzione (troppi quesiti; proposte non sempre condivisibili), la tesi dell'anticipazione della data è stata sostenuta in aula dal Polo e anche dai Verdi. Contrari gli altri gruppi parlamentari. Il ministro dell'Interno, Giorgio Napolitano, ha spiegato le ragioni che hanno indotto il governo a scegliere la data del 15 giugno: non sovrapporre le date del voto amministrativo con quello referendario e le due campagne elettorali; consentire al Parlamento di varare leggi che rispondano proprio alle istanze referendarie. E, comunque, non c'è alcuna volontà del governo di boicottare le consultazioni. Una volontà che non nutre neppure la maggioranza: ieri Cesare Salvi si è augurato che la partecipazione popolare sia elevata perché il
quorum sia raggiunto e la consultazione valida. Ma - ecco il punto sul quale ha insistito Salvi - decidere la data non è compito del Parlamento, ma del governo, "nella piena autonomia e responsabilità ad esso conferiti dalla legge". Il voto contrario del gruppo della Sinistra democratica alla mozione non ha espresso, dunque, "una preferenza per questa o per quella data", ma fra l'altro "il rispetto della ripartizione di responsabilità tra Parlamento e governo. Sarà, quindi, il Consiglio dei ministri a decidere, nell'ambito delle date previste dalla legge".