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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Rinascimento - 7 aprile 1997
Da "L'opnione delle Libertà" del 29 marzo 1997 - pag. 1

di Benedetto Della Vedova

Guido Rossi, uomo che ha saputo nuotare come pochi altri nelle acque melmose della finanza italiana, ha sostenuto ieri, durante l'assemblea straordinaria della Stet, che chi è contro la golden share, nei fatti, è un fiancheggiatore del partito antiprivatizzazioni, quello guidato da Bertinotti e Nesi. Con questa poco convincente affermazione, rafforzata da un "aforisma orientale" di cui dirò dopo, Rossi ha cercato di spiegare come mai, quei poteri speciali del Tesoro che pochi mesi orsono stigmatizzava come "utili solo a nascondere lo strapotere dei boiardi" fossero diventati ieri "di fondamentale e strategica rilevanza". Stupirsi? No, non mi aspettavo certo che il neopresidente della Stet avrebbe compiuto gesti "eroici" contro il suo nuovo padrone, il Governo dell'Ulivo, di cui secondo una felice battuta di Berlusconi Bertinotti detiene la golden share, potendo comandare senza avere parte al capitale sociale. Cambiare idea è più che legittimo e spesso è segno di intelligenza ed onestà intellettuale; purch

è, però, non si cada nel grottesco, abbracciando con troppo entusiasmo e senza misura la nuova convinzione (che potrebbe a sua volta rivelarsi fallace). Con un processo alle intenzioni degno di miglior causa, infatti, Guido Rossi ieri ha sostenuto che i più accesi contrari alla golden share come i referendari siano, in realtà, contrari alle privatizzazioini, nel caso di specie della Stet. Arguto e sibillino, l'ex presidente Consob ha raccontato del tale che vuole impossessarsi di uno splendido gattino appollaiato sulla gobba di un cammello e, pur di averlo, acquista il cammello di cui non gli importa nulla. Il gattino è la Stet e il cammello la golden share? Se è così, prima che entro tre anni il gattino possa scendere dalle sue gobbe, il cammello avrà fatto, senza sentire ragioni, troppa strada nella direzione opposta a quella voluta dall'ingenuo acquirente, che si troverà con le pive nel sacco. Fuor di metafora, noi ci auguriamo che il presidente della Stet si riveli alla lunga più furbo degli statali

sti dell'Ulivo (e del Polo), sfilando loro da sotto il naso l'azienda delle telecomunicazioni di Stato. Ma vorremmo ricordargli che solo qualche mese fa il senatore comunista Caponi (presidente della Commissione Industria al Senato), tuonava che la privatizzazione della Stet sarebbe un "delitto nazionale". A meno che, visto che al peggio non sembra davvero esserci limite, la cessione della Stet sia che la contropartita del mantenimento in mani pubbliche di Eni ed Enel.

Tacciare i referendari di non occuparsi del "cuore" del problema e di avere altri fini che quelli di imporre alla piovra dei partiti , grazie al consenso diretto degli elettori, una svolta radicale e definitiva in senso liberista ed antistatalista, è sintomo della distruttiva cultura "benaltrista" che ha ingessato il nostro paese. "C'è ben altro di cui occuparsi", hanno sempre rinfacciato nel nostro paese i conservatori ai riformatori: e fino ad oggi hanno avuto la meglio, bloccando con i risultati che ciascuno di noi conosce l'ammodernamento della società, dell'economia e delle istituzioni italiane.

Una sola, piccola, consolazione: i fondi stranieri, che di mercati finanziari se ne intendono e non debbono nulla ai partiti italiani, hanno votato contro la golden share. Se il Governo, socio di maggioranza della Stet e quindi principale di Guido Rossi, non riuscirà a costringere i referendum alla "prova del fuoco" di un voto estivo, la partita, ne sono sicuro, si riaprirà.

 
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