TRA SDEGNO E PERPLESSITA'
QUASI TITTI CONTRO LA CORTE
Pannella è una furia, duri attacchi del Polo, cauto il centrosinistra.
ROMA Il grido di dolore di Marco Pannella, l'arrabbiatura di Roberto Formigoni capofila dei presidenti delle Regioni che hanno promosso 12 referendum, il "dispiacere" di D'Alema e la "logica politica e del1a conservazione" dl cui parla Berlusconi. Sono pochi, a cominciare dai protagonisti della battaglia referendaria e dai leader dl partito, a comprendere e giustificare le decisioni della Corte costituzionale. Contro la "raffica di mitraglia contro i referendum" denunciata dal leader riformatore, si sono infatti schierati un po' tutti. Per il Polo la decisione è "politica", accusa gravissima per la Consulta. Nel centrosinistra, invece, assieme alle critiche per le drastiche bocciature della Corte, si sottolinea l'uso e l'abuso dell'istituto referendario stravolto da una massa di proposte di abrogazione. Le decisioni e gli orientamenti della Corte erano nell'aria, ma fino all'ultimo i promotori hanno sperato nel miracolo. Che non c'è stato. Attacca allora il leader del Polo Berlusconi: "Si è trattato di una
scelta discrezionale di tipo politico. Anche sulla responsabilità civile dei magistrati è prevalsa una logica di difesa della corporazione". Mario Segni, leader referendario, accusa il "Palazzo che si è chiuso per tornare al proporzionale e alla partitocrazia". Questo e il "falò della democrazia", accusa Pannella, "il falò di 12 milioni di firme degli italiani, fatto da fuorilegge che hanno dimostrato di rappresentare il regime e la negazione della legge".
Non vuole commentare, "perchè le sentenze non si discutono e non si commentano", il leader di Rinnovamento Dini. Commenta, invece, con un occhio alla sgradita Bicamerale, Fini: "La Corte ha emesso una sentenza politica basata sullo stesso principio dei fautori della Bicamerale: le riforme le fanno i partiti, ai cittadini è vietato esprimersi". La sentenza, risponde indirettamente il segretario Pds D'Alema, va comunque rispettata e non insultata: "Ma è chiaro che quando si restringe una possibilità di partecipazione popolare, questo non ci fa piacere". Il gran numero dei referendum, spiega il leader dei Verdi Luigi Manconi, ha indotto la Corte a fare una selezione politica dei quesiti: "Ma sarebbe sbagliato intervenire per ridurre il ricorso ai referendum. Si potrebbe solo aumentare il numero delle firme a 750 mila per seguire l'aumento demografico". Dario Franceschini, neovicesegretario del Ppi, è invece convinto che "l'abuso dei referendum ne sta svilendo il ruolo. Altro che ritorno alla partitocrazia". Sul
l'altra sponda il segretario del Cdu Rocco Buttiglione parla di una sentenza politica "che indebolisce la funzione di arbitro al di sopra delle parti proprio della Corte". Molto infuriati sono anche i presidenti delle regioni che avevano promosso i 12 referendum federalisti. Come Roberto Formigoni, presidente della Lombardia: "E' una decisione politica inaccettabile. Si dà un pessimo segnale al Paese, quasi che le riforme non si possano fare. Noi non siamo un gruppo eversivo, ma un pezzo dello Stato. Vengono bocciati sette referendum scritti a regola d'arte, tenendo conto alla virgola delle precedenti indicazioni della Corte". Per questo Formigoni e gli altri annunciano dl voler promuovere un conflitto di attribuzioni contro l'ufficio centrale dei referendum presso la Corte di Cassazione. Deluso anche un presidente di "sinistra", il toscano Vannino Chiti: "Vedo respinti referendum come quello sull'abolizione del ministero dell'Industria e della Sanità che nel 1993 non furono ammessi per un difetto di formula
zione che oggi non c'era". Ora, e a maggior ragione, aggiunge Chiti, "c'è bisogno di una forte spinta dal basso per impedire che il processo di riforma dello Stato si traduca in un maquillage". Enzo Ghigo, presidente del Piemonte, la prima regione ad avere approvato i referendum, sostiene che ora questa decisione rende più difficile il cammino della bicamerale: "E' inconcepibile che il referendum, limpida e diretta espressione della volontà popolare, non sia stata presa nella dovuta considerazione".
(a.cor.)