"7 APRILE": MADRE DELL'EMERGENZA E DEI MAXIPROCESSI
Emilio Vesce, exdirettore di Potere Operaio, racconta la sua esperienza giudiziaria e ricostruisce la strategia del Pci
Di Vittorio Macioce
Il 7 aprile del 1979 tra Milano, Roma, Torino e Padova vengono arrestate 16 persone, tutte del gruppo di estrema sinistra Potere Operaio. E' un'azione di polizia, un blitz, che punta a mettere in ginocchio una delle organizzazioni storiche del movimento politico esploso nel '68. E' un attacco decisivo - giurano i magistrati che danno il via libera all'operazione - al retroterra culturale e alla strategia del terrorismo. Finiscono nel mirino delle forze dell'ordine quasi tutti i capi dell'organizzazione: Toni Negri, Luciano Ferrari Bravo, Mario Dalmaviva, Oreste Scalzone e Franco Piperno (gli ultimi due riescono ad evitare le manette e scappano all'estero). Fra questi c'è anche Emilio Vesce, direttore del giornale "Potere Operaio". Resterà in carcere, in attesa di giudizio, per 5 anni, 5 mesi e 5 giorni. Uscirà il 12 settembre del 1984 e verrà assolto, con sentenza definitiva, solo nel1987. Quel processo passerà alle cronache con la data del primo arresto: 7 aprile. Emilio Vesce racconta, oggi, quella storia
e ne mette in luce il significato giudiziario. "Da lì - dice - parte una nuova logica del diritto, quella che si basa sull'uso della carcerazione preventiva, dei pentiti, della legislazione d'emergenza, dei teoremi e dei maxiprocessi collettivi, con più di cento persone. Il 7 aprile è la madre di tutti i processi degli anni '80 e '90.
Torniamo a quel 7 aprile del 1979. Con quale accusa vi arrestarono?
Banda armata. Un'accusa assurda, senza riscontri, senza prove, nebulosa. Noi più volte chiedemmo di sapere su quali basi stavano indagando, cosa ci contestavano, di quali delitti ci accusavano. Nulla. Solo un teorema, quello formulato dal dottor Pietro Calogero, magistrato, che sosteneva: poiché queste persone hanno predicato l'abbattimento violento dello Stato e la lotta armata sono loro i capi delle Brigate Rosse, la direzione strategica, i "grandi vecchi" del terrorismo. Sono loro il vertice a cui fanno capo i vari Curcio , Franceschini, Moretti e così via. Si è visto poi che tutto questo era solo un castello di carte, chiacchiere allo stato puro. Il loro fine era arrestarci e poi farci confessare. Metodo diventato di moda con Tangentopoli, sol che a noi ci hanno tenuto in carcere per anni, non mesi. Alla fine si sono incartati e hanno cominciato a correggere le accuse. E dalla banda armata, vale a dire la guida ideologica delle Brigate Rosse, sono passati all'insurrezione contro i poteri dello Stato. Acc
usa ancor più nebulosa.
Lei ha parlato anche di pentiti. In che senso?
Certo, con il processo 7 aprile compare in scena anche il primo pentito: Carlo Fioroni. Costui aveva sequestrato, insieme con un suo amico, l'ingegner Saronio. Fu una sua azione individuale, ma arrestato chiamò in ballo l'organizzazione. Disse di agire su ordine di Potere Operaio. Non era vero, ma in questo modo ottenne un trattamento processuale migliore. E sul suo caso nacque la prima legge per i pentiti, targata Francesco Cossiga. Era il 1979, primo atto di una stagione che fa dell'emergenza la sua scelta di vita e del pentitismo un'arma spesso utile, ma qualche volta ingiusta e pericolosa, come con Tortora. Ma con il 7 aprile si apre anche il primo maxiprocesso, con 130 persone alla sbarra. E si passa dalla responsabilità individuale a quella collettiva.
Lei lascia capire che questo processo fu in qualche modo voluto dall'alto. Nasce da una scelta politica. Quale e perché?
Ad ispirare questa strategia c'era la sinistra tradizionale, vale a dire il Pci. In primo luogo per creare un deterrente contro l'azione politica dei gruppi di estrema sinistra, che comunque sia rappresentavano un'insidia per Botteghe Oscure: andavano a rompere quel monopolio della protesta da sempre in mano al Pci. C'era poi la volontà di scaricare su altri l'accusa di padri del terrorismo italiano. Vede, tutte le bande armate nascevano da quel clima culturale che si respirava intorno ai maestri del comunismo: il mito della resistenza, quello della rivoluzione, lo stalinismo, la dittatura del proletariato, il dogma della verità marxistaleninista. Insomma, il Pci doveva liberarsi di questo incubo e ha attirato l'attenzione dei giudici su di noi.
Perché proprio su di voi?
Eravamo il gruppo più debole, quello meno legato ai meccanismi del potere. Ben lontani da Lotta continua che stava già rientrando nei "salotti culturali".
Nel 1983 il Partito Radicale candida Toni Negri, che viene eletto. Poi, dopo che il Parlamento non concede l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti, il capo di Potere Operaio scappa a Parigi.
In questo modo delegittima l'azione di Pannella e getta molte ombre sulla sua innocenza. Perché fuggire?
Fu un grosso errore, per lui e per i suoi compagni. Un anno dopo ci fu il processo. Negri fu condannato. Io e molti altri assolti. Forse se non fosse scappato sarebbe stato assolto anche lui. Di certo, quella fuga non ci ha aiutato, soprattutto davanti all'opinione pubblica.