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Segreteria Rinascimento - 9 aprile 1997
Dal "Corriere della sera" del 9 aprile 1997 - pag. 2

OLTRE TIRANA, IL NODO DI D'ALEMA E MARINI, IMPEDIRE A PRODI DI "PERDONARE" BERTINOTTI

Di Stefano Folli

E alla fine resta un panorama di macerie tra le quali vaga Romano Prodi, capo di un governo senza maggioranza che non riesce nemmeno a cadere. Si salva al Senato, dove dispone di un margine favorevole, ma come ha detto Ottaviano Del Turco "una stagione politica è finita": è tramortita l'illusione di un'alleanza di governo a sinistra tra forze diverse ma unite da un progetto comune. Il sogno del 21 aprile torna in soffitta e per D'Alema si apre la stagione delle incognite. L'Ulivo ha pagato sino in fondo il distinguo di Rifondazione e il fatto di essersi trovato minoritario in Parlamento, facile preda dell'aggressività del Polo. Berlusconi era forse disposto a fare uno sconto a D'Alema.(e quindi a Prodi); ma Fini ha preteso di mettere a nudo tutte le debolezze del governo e l'ha spuntata. Oggi alla Camera vedremo l'epilogo di questa storia confusa. Tutto lascia credere che attraverso le pieghe del regolamento sarà possibile individuare la soluzione tecnica (magari sul "dispositivo" delle mozioni) che permett

erà al governo di far approvare la missione. Sul piano politico ciò significa che l'Ulivo, almeno a Montecitorio, si è piegato al Polo e ha accettato di bere un'amara medicina pur di non aprire la crisi. Prodi, se davvero avesse voluto mettere Bertinotti con le spalle al muro, avrebbe avuto un'arma semplice e definitiva: la questione di fiducia. Ma non era in grado di usarla paralizzato dalla paura di vedersi poi costretto alle dimissioni, vanificando l'intera missione internazionale per la quale abbiamo avuto il via libera dell'Onu (e Kofi Annan è in arrivo in Italia). Una volta chiarito che il governo non intendeva dimettersi né porre la fiducia, è stato facile per Fini esercitarsi al tiro al bersaglio.

Un'operazione spregiudicata come sempre quando è in gioco l'immagine dell'Italia nel mondo il cui vero obiettivo è stato, sì, la credibilità del governo, ma in particolare Massimo D'Alema: il suo rapporto privilegiato con Berlusconi, l'avvio sotterraneo delle "larghe intese", la cura con cui cerca di tenere la Bicamerale lontana dalle tempeste politiche. Per salvare la sua commissione D'Alema è stato costretto a condividere con Prodi l'umiliazione subita dal governo. E adesso ci si chiede se basterà. E' chiaro infatti che i rischi della missione sono aumentati. Le fazioni albanesi sanno ora che l'Italia non è unita dietro la forza multinazionale e questo può offrire loro il destro per qualche colpo di testa. Come se non bastasse, la gaffe del sottosegretario Fassino su Berisha ha costretto Prodi a difendersi dall'accusa schipetara di voler "interferire" negli affari interni dell'Albania. L'ombrello della missione "umanitaria" è diventato all'improvviso insufficiente: la realtà dimostra come sia arduo per l

'Italia salvaguardare la propria neutralità , tra i gruppi in lotta.

Sul piano interno D'Alema e Marini sono alle prese con un serio problema. Se Prodi, dopo il voto della Camera, sale al Quirinale e ne discende con l'invito a verificare in Parlamento la sua maggioranza, Bertinotti rischia davvero il trionfo. Perché un generico dibattito, destinato a concludersi con una risoluzione altrettanto generica di consenso al governo, servirebbe solo a ricollocare Rifondazione nell'alveo della maggioranza. Senza impegni precisi né sull'Europa né sulla riforma sociale né sulle istituzioni. Pds e Popolari, divisi su molte cose negli ultimi giorni, sono uniti da un punto: la convinzione che stavolta "si è creata una nuova situazione politica". La ferita provocata dal distacco di Bertinotti non può essere curata da Prodi con una finta "verifica", ma deve dar luogo a una revisione del rapporto politico coi neocomunisti. In parole povere: D'Alema e Marini tenteranno nelle prossime settimane di stringere Bertinotti nella tenaglia di un patto di programma. Gli chiederanno di accettare la logi

ca della riforma sociale nel senso che si intende a Maastricht. Cercheranno di mettergli la briglia prima che sia troppo tardi. Giugno è la data ultima entro cui il chiarimento dovrà essere completato, in sintonia con la fine della Bicamerale. Poi si vedrà. Il governo di grande coalizione affiora dalle nebbie. Adesso è prematuro, fra tre mesi o dopo l'estate chissà.

 
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