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Conferenza Movimento club Pannella
Segreteria Rinascimento - 9 aprile 1997
Da "Il Giornale" del 9 aprile 1997 - pag.6

IL RICATTO DELLE TOGHE

Di Iuri Maria Prado

Scriveva Leonardo Sciascia: "Lo Stato che il fascismo chiamava 'etico' è il loro sogno e anche la loro pratica". Parlava dei magistrati o meglio di certo associazionismo e professionismo della magistratura, in ispecie sedicente "antimafia" ma non solo, e di quel vasto mondo di "cretini" e di "fanatici" i quali, con sleale demagogia, ripropongono in questi giorni una specie di ricatto che finalmente ha stancato: e cioè che loro essendo e lavorando "contro" la criminalità, il delitto, il male, abbiano, per questo, diritto di non subire alcuna critica, e potere di indicare e zittire come "complice oggettivo" chiunque osi muovere anche il più pallido sospetto verso il loro operato, la bontà delle loro soluzioni, l'indispensabilità dei loro metodi, l'effetto dei loro provvedimenti. E trascuriamo di discutere come e se mai, in uno Stato di diritto, possa esistere questo potere delle magistrature associate e militanti di interferire nell'attività legislativa e di governo ogni qual volta sia implicata qualche riform

a dell'amministrazione della giustizia. Osserviamo piuttosto perché è un altro aspetto e non ben chiarito della questione che pure questo interferire si fonda sopra una sorta di pregiudizio ricattatorio e fuorviante, per cui si spaccia che la magistratura ponga i suoi veti ed eserciti il suo potere di orientamento su ogni riforma della giustizia "in difesa" e dietro legittimazione del "bene" che essa incarnerebbe.

Lo si metta a giudizio questo pregiudizio, e si cominci a rifiutare il ricatto che esso comporta, e si dica una buona volta che certa magistratura difende il proprio potere in quanto potere, il complesso dei propri privilegi in quanto privilegi, salvo poi far credere e pretendere che tutto quanto la riguardi (anche una carriera automatica e che procede senza merito, anche la possibilità di commettere errori e con grave colpa senza sanzione, eccetera) sia intoccabile perché posto a presidio del bene, del giusto, dell'onesto e contro il delitto, la corruzione, la criminalità, il male. La si finisca con questa menzogna, che sorregge e si porta dietro ancora un altro odioso carico di inciviltà, e cioè l'idea e la pratica, appunto da Stato "etico" secondo cui tutto è sacrificabile alla presunta efficacia dei metodi, tal che un arresto ingiusto, una carcerazione non indispensabilmente ordinata o protratta e insomma qualunque compressione del diritto individuale è cosa trascurabile e anzi legittima, pur che "serv

a" a realizzare quel loro sistema "ordinato".

Questa "dell'efficacia" (delle pene, del carcere, della custodia cautelare, dei metodi di polizia giudiziaria) è un'altra questione troppo importante per essere abbandonata al sacerdozio di certi fanatici. Perché nessuno dubita del fatto, per esempio, che rastrellare paesi interi e imporvi il coprifuoco possa far cadere nella rete anche un bel po' di delinquenti, come nessuno dubita del fatto che su mille sospetti tangentisti messi in isolamento uno, prima o poi, magari confessi. L'efficacia del metodo, in questi casi, sarebbe probabile (e non sempre, comunque): meno, forse, il livello di ammissibilità civile e giuridica di tal modo di procedere capace di travolgere tutto in quella "confusione" che è la presunta chiarezza in cui si dividono male e bene. Confusione dovuta alla nebbia "morale" che indebitamente avvolge la funzione giudiziaria e confusione in nome della quale si è determinato in capo alla magistratura italiana un potere la cui caratteristica in indipendenza come molte volte abbiamo scritto e c

ome in pochi oggi denunciano è pretesa come indipendenza dal diritto, dallo Stato, dallo Stato di diritto. Lo Stato di diritto: questa realtà "esterna", "estranea" a certa magistratura.

 
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