IL PIANO INCLINATO
di EZIO MAURO
L'unico risultato positivo di questa settimana nera per il governo Prodi e la partenza della missione per l'Albania. L'Italia farà dunque la sua parte, quella che le assegnano la storia, la geografia e oggi l'Europa: su invito dell'Onu guiderà in un'operazione rischiosa è tuttavia necessaria una forza multinazionale di protezione per gli aiuti umanitari al popolo albanese, travolto dall'ultima deriva dell'Est. Il largo consenso ottenuto ieri in Parlamento da questa decisione del governo, con i volti del Polo che si sono aggiunti al voto dell'Ulivo, è una prova di responsabilità internazionale e di coesione nazionale. Ma a questo risultato siamo giunti nel modo peggiore, con il quadro politico di maggioranza nato dal voto di un anno fa ormai in pezzi, il governo allo sbando per due giorni in Parlamento, l'opposizione scatenata a parole e compromissoria nei fatti, perché un'alternativa non c'è. Anche se il peggio, probabilmente, deve ancora venire. Vediamo perchè. Contro ogni tradizione della sinistra, e co
nfermando la sua corsa ormai separata all'inseguimento di
puri interessi politici particolari, Rifondazione comunista ha mantenuto dal primo all'ultimo giorno il suo "no" alla missione, fino a votare contro, incurante della crisi di maggioranza che cosi si apriva e del discredito internazionale per il nostro Paese. C'è dunque del metodo dell'irreducibilità di Bertinotti. Prodi non lo ha capito. Con tutto il suo governo ha sottovalutato fin dall'inizio la portata dalla vicenda albanese, non ha colto la necessità di una gestione forte e alta di un problema che investiva l'Europa attraverso la porta dell 'Italia, non ha avvertito il salto drammatico di gravita provocato dalla morte di 8 9 profughi dopo la collisione tra una piccola nave albanese e una corvetta della nostra Marina. Soprattutto, Prodi e il governo hanno creduto di controllare il dissenso di Rifondazione attraverso la tecnica compromissoria del negoziato a porte chiuse seguito in tutti questi mesi con quel sindacalista della politica che è Fausto Bertinotti. Una tecnica andreottiana, impiegata per tanti
anni con successo dai governi democristiani nei confronti del Pci. Solo che mentre Prodi non è Andreotti nè nel male e nè nel bene, nemmeno Rifondazione è il vecchio Pci: c'è davvero in quel partito una carica di radicalità genetica, un antagonismo trasformato in ragione politica, un ideologismo cieco e narciso che sono incompatibili questi sì con qualunque parametro di Maastricht e con qualunque prova di crescita complessiva della sinistra, se questa crescita deve passare attraverso il governo di una moderna società occidentale. Anche Bertinotti, ormai, viaggia dentro il suo vagone piombato, incurante dei destini della sinistra, del governo e del Paese, pensando soltanto al fatturato politico, elettorale e ideologico della sua azienda: fino a consegnare, questa volta, Prodi nelle mani di Berlusconi, o forse addirittura di Fini. Perchè ancora non si sa chi comanda nel Polo. Di fronte alla necessita non solo per il governo ma per l'Italia di rispettare gli impegni internazionali, il Polo infatti si è fatt
o avanti in un primo tempo con la correttezza bipartisan che lo anima nei giorni dispari, quelli in cui scende dall'Aventino. Strada facendo. il Polo ha però visto allargarsi le crepe politiche della maggioranza e ha capito che l'Albania da episodio anomalo si andava trasformando nel caso rivelatore della crisi dell'U'livo, nascosta da mesi: una crisi di numeri, naturalmente (perchè alla Camera manca la maggioranza di centrosinistra senza Rilfondazione), ma soprattutto una crisi di coesione e di identità complessiva, dunque una crisi politica. A questo punto; Fini ha incominciato ad alzare ogni giorno il prezzo, travolgendo il Berlusconi bipartisan. I voti del Polo per far partire la missione sono dunque arrivati, ma più che come adesione responsabile a un atto condiviso, suonano oggi come un puro strumento per sottolineare l'insufficienza della maggioranza e la sua crisi. Tutto questo in politica è legittimo, naturalmente. Ma attenzione. La strada maestra della politica parlamentare doveva portare il Polo,
a questo punto, a chiedere immediatamente le dimissioni del governo, chiedendo nel contempo al Capo dello Stato di andare alle elezioni. E invece Berlusconi davanti a tutti, in Parlamento, ha proposto una cosa completamente diversa, invitando D'Alema a compiere "uno scatto di coraggio". Ha chiesto una "maggioranza diversa, cioè le larghe intese, cioè quell"'inciucio" di cui si parla da mesi. In questo modo, Berlusconi ha dimostrato che non sono le elezioni che lo interessano, e nemmeno la sfida per governare direttamente, con le sue forze, il suo programma, la sua persona. Ciò che vuole e essere associato in un governo di tutti, consociativo, compromissorio e spartitorio, dove ci sia un tempo, un luogo e un modo per ogni cosa, prime fra tutte naturalmente la giustizia e le televisioni. Il governo del libero scambio. Bisogna sapere che questa prospettiva ucciderebbe quel tanto di bipolarismo che con evidente fatica si sta insediando nel nostro Paese, ritarderebbe probabilmente I 'evoluzione e la modernizzazi
one dei due Poli, nella convinzione che in Italia comunque il centro resta il luogo sovrano della politica. E tuttavia bisogna sapere che qui, al governo del libero scambio, conduce il piano inclinato su cui ieri si è affacciata la politica italiana. Questa è infatti la partita che si giocherà nei prossimi tre mesi, e questa è la posta in gioco. Oggi Prodi torna alle Camere, rinviato dal Capo dello Stato con una procedura corretta, perchè anche se ha perso la sua maggioranza su un atto altamente significativo di politica estera, il governo non è stato battuto. Ma la procedura, che Prodi tenta di concludere di fretta, come se si fosse trattato di un incidente tecnico di percorso, non può nascondere il "vulnus" profondo che il governo dell'Ulivo porta da ieri dentro di sè. Eugenio Scalfari ha parlato pochi giorni fa su questo giornale del disincanto con cui gli elettori e gli italiani seguono oggi il cammino del governo Prodi, il primo governo di sinistra del dopoguerra, nato per durare un'intera legislatura,
con l'ambizione di cambiare i metodi, gli uomini e anche il Paese. E invece, è andata in un modo diverso. E proprio il comportamento incerto e contraddittorio del governo in questi mesi rende politicamente significativa fino all'estremo la crisi nata sull'Albania. Oggi Rifondazione con ogni probabilità voterà a favore di Prodi, riprendendo il suo gioco di "dentroefuori", mentre la riforma del Welfare State aspetta un quadro politico coerente e sicuro. Per le scadenze che abbiamo davanti, la soluzione è debole e pasticciata, anche perchè ripropone intatte le contraddizioni & questa maggioranza, spostandole nel tempo. Probabilmente di tre mesi o poco più, tre mesi di zoppia politica, con un patrimonio di speranze, attese e disponibilità che è comunque già andato in frantumi: quello creato dalla vittoria dell' Ulivo il 21 aprile. Soprattutto. questa soluzione è troppo debole per reggere all'attrazione sciagurata ma fortissima del piano inclinato che porta alle grandi intese. Ma su quel piano inclinato, insieme
con Prodi, rischia di scivolare anche Massimo D'Alema. Troppe volte il leader del Pds ha detto che non vuole l'inciucio, per accettarlo. Dunque deve aiutare Prodi a rilanciare il governo, portando fino in fondo, intanto la sfida riformista con l'altra sinistra, quella di Rifondazione. Altrimenti, D ' Alema si trasformerà non solo nel moderno Craxi della seconda Repubblica, ma sanzionerà per la sinistra italiana 1'impossibilità di credere in un autonomo progetto riformatore. Per la sinistra significherebbe smarrire la stessa ragione di esistere.