Da liberale, intanto, io pongo innanzitutto un problema di libertà e di diritto. Che qualcuno, o molti, o la maggioranza dei giornali possano fare o facciano un cattivo uso della libertà di stampa non porta certo un liberale a voler negare la libertà di stampa. Che qualcuno, o molti, o la maggioranza di coloro che in Italia hanno aperto scuole private abbiano fatto di questa libertà un uso che io non condivido non mi può, parimenti, portare a contestare il principio stesso di quella libertà; o a negare che quei genitori che scelgono un tipo di scuola piuttosto che un altro - in genere sobbarcandosi, per di più, un onere consistente - esercitino un diritto fondamentale di libertà, che da liberale non posso non voler strenuamente tutelare. A pena, altrimenti, di negare me stesso. Fuor di dubbio che in Italia la scuola privata è stata prevalentemente, nella storia, scuola clericale, con le fosche caratteristiche che Angiolo evoca da par suo. E fuor di dubbio che la creazione della scuola laica di stato da parte dello stato risorgimentale abbia costituito un pilastro di quel che ha conosciuto l'Italia di rivoluzione liberale. Ancora, lungo un secolo di storia unitaria la difesa della scuola pubblica e della sua laicità - cui son fiero di aver potuto contribuire portando la mia minuscola pietruzza - ha per certo rappresentato una fondamentale frontiera della battaglia per le libertà; soprattutto finché la società civile era dominata da una pesante egemonia clericale, e duravano minacce di clericalizzazione dello stato.
E però, detto o anzi rivendicato alla nostra comune storia tutto ciò, permettetemi di contestare con forza che la scuola privata, anche in Italia, sia stata solo questo, e necessariamente questo. Tu, Angiolo, hai ricordato la tua esperienza, e altri lo hanno fatto tra gli intervenuti nel dibattito. Sento come un dovere di ricordare la mia. Se da qualche parte nella mia vita ho imparato a vivere come valori libertà e responsabilità, se da qualche parte ho avuto una seria e profonda e viva educazione alla libertà, questo è stato in una scuola elementare privata, privatissima, la scuola steineriana di Milano che ho avuto la fortuna di poter frequentare negli anni cinquanta; l'esperienza culturale e di vita che mi è sempre apparsa quella più d'ogni altra decisiva nella mia formazione. ( Tu, Angiolo, scommetti qualunque cifra che la peggiore scuola pubblica è meglio della migliore scuola clericale. Io potrei rovesciare questa scommessa nel confronto fra quella scuola e le scuole pubbliche del tempo. E ben ri
cordo che quello che udivo dai miei coetanei che frequentavano la scuola pubblica faceva sì che nel mio immaginario io unissi in un unico universo oppressivo scuola pubblica, caserma e galera).
Certo, dirai, un'eccezione. Ma non unica; c'erano allora a Milano e altrove le scuole private montessoriane, ed altre. E poi, che conta? Fosse stata anche unica: testimoniava di una possibilità. Testimoniava che la possibilità garantita dalla costituzione ai privati di aprire scuole private assicurando ad esse la libertà (e perciò definendole scuole libere: che non è ovviamente sinonimo di scuole di libertà) poteva ben essere utilizzata per compiere appunto una scelta di libertà, una scelta primaria di libertà: quella di decidere, e di non lasciarsi imporre da nessuno, da nessuno stato etico e pedagogo, con quale metodo educare i propri figli. Ognuno ha la sua storia. L'aver vissuto quella esperienza, l'esser cresciuto in una famiglia in cui quella libertà era vissuta come un valore primo, cui pareva ovvio e facile sacrificare molto di modesti agi altrimenti possibili, è indubbiamente costitutivo della sensibilità con cui, per quel che mi riguarda, io intendo e sento in generale i principi di libertà e
diritto; e per la quale sento intollerabile e mi indigna ogni minaccia a quella libertà, e più di tanti altri mi importano, in questa chiave, i problemi della scuola.
Se in quest'ottica guardo alla storia della società italiana, allora, la questione non mi pare proprio quella di dover schiacciare le scuole cattoliche: piuttosto, la deplorazione e il rimpianto è per il fatto che sia stata così limitata nel nostro paese la tensione di ricerca pedagogica e culturale che spingesse altri che non fossero cattolici e clericali (che, mi si permetta, non sono comunque sinonimi) a utilizzare lo strumento della scuola privata per sperimentare o praticare iniziative pedagogico-educative che i vincoli burocratici della scuola di stato non avrebbe consentito di sviluppare. Insomma: i laici, i non cattolici non hanno creduto di servirsi della libertà di aprire o di scegliere scuole private. Benissimo, o malissimo; ne capisco storicamente le ragioni, anche se le deploro e ne vedo le conseguenze negative. Ma non può essere questo un decente motivo per voler contestare o limitare in qualche modo quella libertà a coloro che se ne vogliono servire (E mi pare stonato rispetto alle nostr
a cultura politica reagire di fronte a un problema di libertà, fosse anche della più esigua minoranza, come se si trattasse di una "irrilevanza" rispetto a quello che, in modo sostanzialista, appare come "il vero problema").
Tanto più questo vale oggi. Non credo infatti che nessuno fra noi ritenga che il problema, o il pericolo, nella società italiana attuale sia il vecchio clericalismo. I termini dello scontro culturale e politico sono ormai ben altri. E ben altra, in questo nuovo contesto, è a mio parere la questione del rapporto fra scuola pubblica e privata. Non entrerò a discutere di che cosa sia oggi la scuola privata; anche se molti elementi mi inducono a ritenere che essa sia divenuta una realtà molto variegata, cui in parte consistente l'immagine che Angiolo ne dipinge non si attagli più (e la testimonianza di Marina è già significativa). Non è questo il problema, a mio avviso.
Quella di cui occorre soprattutto preoccuparsi è la scuola pubblica; ossia quella che è, e rimarrà sicuramente a lungo, "la scuola" tout-court per la gran maggioranza degli italiani. Nel primo degli articoli usciti sul "Foglio" e inseriti in questa conferenza (e in un più ampio scritto che sta per uscire su "Quaderni Radicali") ho cercato di spiegare le ragioni per cui vedo incombente il pericolo che alcuni drammatici errori di Berlinguer possano spingerla sulla strada di un degrado irreversibile di lungo periodo, e possano determinare un deterioramento al suo interno delle condizioni di libertà di insegnamento. L'urgenza drammatica dunque, se quest'analisi è fondata, è quella di bloccare, correggere, modificare in profondità quelle scelte. Quel poco o tanto che mi è stato possibile fare, nelle sedi in cui mi è stato dato di operare, è stato indirizzato in questo senso. E qualche risultato ho forse contribuito a raggiungerlo, proprio sul tema vitale della libertà entro le scuole pubbliche, come è stato
segnalato sul "Foglio". Ma non basta certo. E se le cose continueranno a andare come stanno andando? (Da questo punto, va detto, può rivelarsi un evento prezioso la manifestazione milanese del 13 che non era affatto indirizzata solo alla questione della scuola privata, né era cosa del Polo, del quale semmai ha messo in mora l'inconsistenza fin qui sulla scuola; a condizione di saperne ben sviluppare le potenzialità, essa può risolversi in una spinta dai lunghi effetti). Se però, dicevo, la scuola pubblica affondasse, non sarebbe una necessità vitale poter almeno ricorrere alla creazione di scuole private impostate su basi diverse e che potessero - almeno esse, ripeto - assicurare al paese scuole di qualità?
Anche senza considerare le questioni di principio e di diritto è da questo punto di vista che si deve guardare con grande preoccupazione alla prospettiva di una legge sulla parità che, grazie al compromesso concordatario nel senso peggiore fra Berlinguer e le gerarchie ecclesiastiche in preparazione, in cambio di un po' di finanziamenti alle scuole private le costringerebbe a diventare uguali a quelle pubbliche, e stroncherebbe quella residua possibilità. Non tanto e non solo alle scuole private oggi esistenti, ma anche a quelle - anche laiche, laicissime - che potrebbero sorgere in futuro. Ma poi, ovviamente, le questioni di principio sono fondamentali. In primo luogo quella che richiama Rogai: la libertà dello studente (o, se minore, dei genitori) di avere il tipo di insegnamento che desidera. Anche diverso da quello impartito nelle scuole pubbliche.
Qui, si badi, corre una forte spaccatura nel mondo cattolico. Da una parte i settori più cinicamente concordatari della gerarchia con i vari catto-comunisti alla Scoppola che, in cambio di soldi e potere, rinunciano a caratterizzare la scuola privata come libera, ossia libera di essere diversa (che, ripeto, è l'accezione in cui insisto a usare questo termine). Dall'altra i ciellini ed altri che mettono al primo posto la questione della libertà. E fra l'altro la pongono in ogni sede, anche per quel che riguarda la scuola pubblica: sono sempre stati fra quelli che mi sono trovato accanto in tutte le battaglie per la libertà nella scuola, a partire da quella contro il modulo nelle elementari. Mi consentirete, perciò, di non vergognarmi affatto ma anzi di essere ben lieto di fare con loro questa battaglia. E, giacché ci sono, aggiungerò che mi è sì capitato, come qualcuno forse ricorda, di trovare non esaltanti alcune delle compagnie con cui ci siamo ritrovati fra il '94 e il '96, e avevo anche scelto di
rinunciare a candidature che comportassero vestire colori di cui mi sarei personalmente, per me, un po' vergognato; ma oggi non trovo proprio niente di vergognoso nell'incontrarmi laicamente, da diversi, e certo con motivazioni in parte diverse, con persone forze che sono quelle che trovo per fare una battaglia di libertà.
Detto questo, si aprirebbe il capitolo del se e come finanziare le scuole private. Mi permetto di rinviarlo ad altra occasione. Segnalando solo che a mio avviso la norma costituzionale del "senza oneri per lo stato" finché vige va rispettata senza trucchi. Ma può essere modificata. Che indubbiamente dovere primario dello stato è offrire a tutti la possibilità di frequentare la scuola di tutti, quella pubblica, di cui deve garantire la qualità e entro la quale deve assicurare la libertà. Ma poi mi pare sia equo che uno stato che sovvenziona di tutto, che regala due milioni alla FIAT per ogni automobile venduta, sostenga in qualche forma non le scuole private ma il diritto dei non abbienti di scegliere anch'essi liberamente la scuola che vogliono, non riservandolo ai soli agiati.
Tanto dovevo, per chiarezza. Con gratitudine, in particolare ad Angiolo, per avermi spinto a scriverlo.