E' evidente che Paolo V.sia andato a fondo nella indagine. Ma ammetto che in ogni caso mi par strano che il danneggiare o distruggere monete non sia reato. Il punto può semmai essere un altro, cioè della entità della pena e del titolo del reato, per cui possono o meno scattare, con certe o altre circostanze, sequestri et similia.In verità se io porto via un tavolo dalla casa di qualcuno, senza il consenso del qualcuno, nessun giudice mi assolverà, Nè ometterà di impormi la restituzione, per non esistere nell'ordinamento penale italiano il reato di "appropriazione indebita di tavoli".
Chi ha mille lire in tasca è proprietario del valore rappresentato dal pezzo di carta; ma non del pezzo di carta. Il pezzo di carta è di proprietà dello stato. Il Pezzo di carta in quanto tale non è nella disponibilità di chi è proprietario del valore la cui titolarità è certificata dall'essere quelle mille lire giunte non illecitamente nella tasca di quel qualcuno.
Questo lo sappiamo tutti. E dunque... Certo, i problemi tecnici esistono; ma non mi sembra che sia questione di articolo di legge.
Angiolo, si capisce che il fine, storicamente, giustifica i mezzi. Il fine è la ragione per perseguire la quale si approntano alcuni mezzi, invece che altri.
Però la locuzione merita altre cautele e cure.
Sul piano della nonviolenza politica non esiste, a mio parere, ed ho spesso ceercato di dimostrarlo, alcun assioma per cui il fine non giustifichi i mezzi. I mezzi sono in relazione ai fini, e si valutano dai fini. Se la nonviolenza fosse afffare di mezzi, e basta, sarebbe misera cosa. Molto poco interessante.
Invece, l'agire nonviolento è semplicemente più utile e forte. Per queszto e solo per questo è più opportuno utilizzarlo.
La relazione tra mezzi e fini, però, è un po' più articolata, e quindi semplice, anche da un punto di vista - diciamo - nonviolento.
Lo scopo della azione politica è sempre e comunque l'utilità: la politica è scienza dell'utile per un terrorista come per il più mite dei gonzi. Scienza dell'utile. Cioè quel che conta sono i fini, le utilità. Se si vince o si perde.
A me sembra - e guardo usando il più freddo dei realismi - a me sembra difficile che una compagine di persone quale noi e la nostra storia, cioè il nostro oggi, i nostri averi, il nostro patrimonio, la nostra reputazione e tutto il resto possano trarre vantaggio dall'intascare denaro entrando nel meccanismo dello stato che paga i partiti, e li statalizza. Mi sembra poco utile, e anzi dannoso.
Poi, si può sempre decidere di darsi le martellate sui denti da soli; ma non lo troverei molto utile.
Il parallelo con la banda partigiana che porta via il bottino mi sembra molto poco calzante, stante che una banda di partigiani rischia la vita sua e dei propri parenti e amici, se compie un colpo; mentre noialtri, qui e oggi, se accettiamo i soldi del finanziamento pubblico non rischiamo esattamente la pelle.
E' una questione semplice, di utilità. Una questione politica; nemmeno delle più complicate. Prendere quei soldi ci conviene più di quanto ci costerebbe?
La nonviolenza, in definitiva è in gran parte il risultato della volontà di spogliarsi della incapacità di porsi, e di rispondere, a domande così semplici. Comprendendone il significato vero.
E se è troppo semplice, se appare troppo semplice, peccato...
In realtà, credo che il punto vero, ma proprio uno di quei punti che contano, sia nel fatto che la semplicità non esiste allo stato di natura. E occorre lavorarci. Sempre; perché è un itinerario arduo e complesso.
Proprio come la nonviolenza: sputato.