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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Angiolo - 8 maggio 1997
QUADERNI RADICALI
n.52/53

gennaio-aprile 1997

Supplemento/Speciale

C O M E N A S C E U N P A R T I T O

Marco Pannella, lettere da Parigi (1960 - 1962)

a cura di Angiolo Bandinelli

*

Il fascicolo di QR contiene articoli di Giuseppe Rippa, Gianfranco Spadaccia, Renato Ruggiero, Valter Vecellio, Lorenzo Strik Lievers, Benedetto Della Vedova, Giulio Leoni, ecc., oltre a un Dossier, "Perché i referendum", curato da Silvio Pergameno.

Il fascicolo costa Lire 20.000, e può essere acquistato rivolgendosi alla Direzione, Via del Corso, 262, 00186, Roma, tel. 06/6794827, oppure 06/6795035; fax: 06/6794829

Abb.to annuale (cinque numeri + due libri) lire 100000, versamenti su c/c post. n. 86448005, intestato a "Memoria Edizioni s.r.l., Via del Corso 262, 00186 Roma)

********

(dalla prefazione di A.Bandinelli)

Queste lettere sfiorano o attraversano, più o meno intensamente, le esistenze e le storie di persone che vivono (pochi sono gli scomparsi, tra i loro destinatari e interlocutori) a non molta distanza di qui: alcuni, divenuti anche personaggi del nostro tempo. Non sappiamo quanto ancora li rappresentino, ne esprimano i pensieri e il volto. Sono lettere di quasi quaranta anni fa.

Pure, sono pagine attuali. Con lustri e decenni di anticipo, ci

pare diano una risposta, di metodo se non nei contenuti, a un attualissimo interrogativo: "Come nasce un partito?" E se oggi la rivista "QR" le pubblica è proprio perché ha avvertito quanto essa sia importante, su un piano problematico e non solo documentario.

La domanda rimbalza sopra e sotto, sul proscenio e dietro le quinte del teatrino della politica. Avanzano più o meno variegate risposte protagonisti e comprimari di varia provenienza, ex o post di ogni estrazione, sfigati o marpioni incalliti, rampanti in servizio permanente; con altro stile, ne formulano poi, dalle università o in sofisticati settimanali a diecimila-copie-se-va-bene, liberals sartoriani e weberiani, strutturalisti e popperiani, intellettuali di vecchia/nuova destra, frequentatori del MIT, consiglieri di principi, opinionisti laici o assimilabili e fornitori di oroscopi. Di risposte se ne danno infinite, con spreco di energie immenso, con enorme ingestione, ruminamento e finale eruttazione di altrettanto enormi sottoprodotti, subito pearaltro destinati alla discarica: il partito di cui si vuole secondare o si auspica il nascimento sembra adesso debba essere leggero, d'opinione, per clubs/federativo, laico/cattolico, dei produttori, liberale di massa o lib/lab, intellettuale, variamente postm

arxiano e/o con venature solidaristico-cristiane, ecc., purché sia l'opposto di quello di cui si è dibattuto appena ieri. A noi, tanto questionare sembra, se non inutile, vago e un po' malposto. Perché un partito non si fonda: o c'è, e allora "nasce", o non c'è e allora non v'è escogitazione che lo faccia venire al mondo: vivo e vitale, intendiamo.

Molti anni fa, l'autore di queste lettere la domanda la pose a sé, e la impose ad un gruppetto di coetanei che a riconoscerlo in anticipo loro leader non avevano altro incentivo se non il dubbio di dover pagare cara questa designazione. Con estrema consequenzialità, negli anni (anni? no, decenni!) successivi, ha continuato a porsela e ad imporla agli altri, con una insistenza testarda, irritante. Formulata nella sua interezza, suonava e suona così: come nasce, come può nascere, in Italia, un partito con le caratteristiche storiche adatte a "superare" fascismo e anti- o post-fascismo? Come nasce, insomma, un partito che sia liberale, liberista, libertario, laico almeno quanto necessario?

Poiché è passato un bel po' di tempo, è ora di porla a lui, la domanda. Caro Pannella - perché di Marco Pannella stiamo parlando, l'estensore di queste lettere - è nato dunque, e dove è, il partito di cui ci hai dato l'identikit? La sua risposta sarà, lo sappiamo bene, ancora una volta apodittica: quel partito c'è, è il Partito Radicale (o una delle sue reincarnazioni).

Gli esperti, i teorici, i politologi, gli addetti ai lavori lo negano, invece. Asseriscono che non c'è. La "cosa" che si chiama Partito radicale ha operato, e continua ad operare seminando sul suo percorso eventi politici non di seconda, forse anzi di primissima scelta nelle cronache dei quaranta anni già vissuti. Mai, però, un corso universitario, una ricerca-con-sponsor, una indagine-sul-campo dedicata alla sua vicenda, ai suoi esponenti, alla "formazione del suo gruppo dirigente", alle sue strutture, ai suoi programmi, ecc. Dunque, poiché "Brutus is an honourable man", dobbiamo arguire che codesto partito non esiste, non c'è. O forse non è un partito. E che cos'è, dunque?

A dispetto di tanto ostracismo, la risposta corretta deve essere diversa. Anzi, la pubblicazione di queste poche lettere cerca di essere un primo, piccolissimo servizio prestato a chi vorrà, si adoprerà a restituire alla scientificità, alla "scienza" della politica questa vicenda. Nel loro dialogo, lo scrivente e i destinatari l'argomentano, una risposta. Lo fanno, certamente, con un linguaggio diretto e fattuale, non teorico, dal quale però si possono desumere implicazioni utili anche alla nostra ricerca. Le lettere di Pannella hanno anche una interessante particolarità. Ai tanti parametri in uso per definire il "cosa è" di un partito, aggiungono una dimensione che alcuni cultori delle discipline coinvolte tendono a trascurare, anzi a rifiutare come "non scientifica", non afferente al paradigma corrente: la dimensione drammatica propria di ogni vicenda che, investendola nella sua totalità, porta una persona alla luce del palcoscenico, tra luci ed ombre crude quant'altre mai. Non si dimentichi che "persona"

è, per i latini, la maschera teatrale. E questa "persona", questa maschera pubblica è, né più né meno, il personaggio politico.

L'appiattimento dell'umano che è il vanto della scienza politica contemporanea è una perdita secca dell'intelligenza, della politica e della sua scienza, innanzitutto. Gli inglesi amano le biografie. Da postcrociani, a noi non interessa esplorare le frattaglie del cosiddetto privato (i letti e gli omicidi di Svetonio - come quelli di Seneca o di Artaud, l'autore di Eliogabalo - sono una sfida alla ricostruzione della totalità storica, sono l'introduzione del demoniaco nella storia, ecc.). Noi amiamo la via che passa per l'immersione del singolo, nell'intersezione del singolo col contesto. L'unica biografia che capiamo è quella dove "verum et factum" si convertono storicamente l'uno nell'altro.

In tale intersezione, dentro un riquadro grande o piccolo (come piacerà al lettore), c'è anche l'autore delle nostre lettere, Marco Pannella. Lui, la risposta alla domanda iniziale ce la offre, chiarissima, con lo stesso candore con il quale, in una di queste pagine, esplicita al destinatario ed amico Giuliano Rendi la regola costante e determinata che ha fissato al proprio agire: nel momento in cui intraprendo qualcosa, dice il giovane Pannella, tendo a dirlo prima, pubblicamente e ad alta voce. I miei avversari tenderanno a non credermi, a non far tesoro delle mie parole, a non utilizzarle contro di me.

Bisogna dunque credergli, quando egli ci viene dimostrando che, per lui, partito è essenzialmente una "parte" che si pone come soggetto politico, per perseguire con mezzi politici un risultato politico. Allora, il partito che Pannella esplicitamente o implicitamente ci disegna è, sostanzialmente, la "parte" che egli ha creato e fa vivere, giorno dopo giorno, nel quotidiano e nella "durata", da circa quaranta anni.

La definizione è molto semplice. A noi pare riferibile a un modello umanistico, machiavelliano, ma anche arendtiano e schmittiano. Nulla di meno, ma anche nulla di più. Molto semplice e chiaro, ripetiamo. Si dice che Pannella non sia "coalizzabile", chiuso come è in un destino "irrimediabilmente" minoritario sia per "difetto di capacità culturali" che per oscuri cedimenti a "pulsioni esistenziali" (cito dall'ultima escursione pamphlettistica di Massimo Teodori). Per fortuna nostra, diciamo, nel nostro insopprimibile desiderio di poter sempre individuare, davanti a noi, l'altro e gli altri, in una visione "religiosa" (perché no?) della persona e della sua ricchezza: non si lamenta che il nostro è il tempo dell'uomo massa? La salvezza (quella liberale, almeno) è, religiosamente, del singolo, dell'individuale. E, nella filigrana di queste lettere, è indubbio che emerga una potente soggettività: la quale, peraltro, non si pone in una situazione di astratta, irrelativa assolutezza, ma si muove in una relazione di

alogica con l'"altro".

Perché una tale relazione sia efficace occorre che i suoi soggetti si fronteggino come poli di una "alternativa" netta e inequivoca: altrimenti vi sarebbe confusione di lingue, consociativismo, ecc. Solo così siamo sul terreno di un autentico dialogo, che si sviluppa attraverso il linguaggio e l'azione politica. E un filosofo della politica come la Arendt ci dice che solo questa azione è adeguata a fondare eticamente le nostre società. Spetterà alla politologia di accertare e collaudare, poi, la sua valenza in termini di potere, ecc. Questo è il suo campo di ricerca; ma partendo da quell'inizio, non rovesciando il percorso a suo arbitrio.

***

Il gruppo, variegato ma compatto, cui erano destinate le nostre lettere - insieme alle non pubblicate, alle mancanti e alle risposte, ahimé, perdute - realizzò per più di un decennio un eccezionale modello associativo, che seppe assumersi, in situazioni di precarietà anche soggettiva, la gestione di difficili iniziative. Fu, per questo, rispettato e temuto, in ambienti politici esperti e smaliziati. Poi, con il mutare delle condizioni della lotta politica, il gruppo, nell'apparente arricchimento di energie raggiunto grazie a notevoli ricambi, cominciò a sfaldarsi. Anzi, venne sfaldato. Fu Marco Pannella, già intorno al 1974, ad avviare la liquidazione di quello che si lusingava di essere considerato il "gruppo storico" radicale. Le reazioni all'operazione chirurgica furono anche, comprensibilmente, scomposte (lo stesso accadrà in ciascuna delle analoghe situazioni ripetutesi nel tempo, anche recentemente), ma per lo più non dettate da intelligenza politica. Nella deliberata volontà di "separatezza" di Pannel

la rispetto al resto del gruppo (avvertibile, va detto, fin dall'inizio) entravano diverse motivazioni: una, certamente, fu la sua inflessibile coerenza rispetto all'analisi storico-politica e al disegno tenuto sempre fermo nel mutare del panorama e degli eventi: vale a dire la decisione di rigoroso non-coinvolgimento nel "sistema" partitico cui egli imputava, e ancora imputa, la mancata affermazione della democrazia liberale in Italia. Di tale non-coinvolgimento (l'"isolamento" che gli viene rimproverato) egli si è eretto garante. Così, ogni volta che lo ha ritenuto necessario (certo anche con errori e qualche leggerezza) Pannella ha operato le più drastiche potature; persino all'interno di un gruppo parlamentare (quello eletto nel 1979) che lui stesso aveva messo assieme pezzo per pezzo ma che immediatamente dopo l'elezione mostrò di non essere intenzionato a seguire il leader nel suo scabroso percorso.

Le rotture, le lacerazioni pannelliane vennero assoggettate a varie interpretazioni ed esegesi, adornate di lustrini weberiani riesumati e contro di lui spietatamente scagliati. Gli esegeti dimenticarono però di analizzare previamente e con gli stessi metodi, come era loro dovere scientifico, le ragioni oggettive dell'agire del leader radicale. Discettarono per anni di "carisma" e dell'uso distorto, malsano, impolitico, mistico e irrazionale che costui ne faceva; finché, dopo la sconfitta elettorale del 1996, poterono anche esultare per una sconfitta che a loro appariva meritata, obbligata e ormai irreparabile. Non si accorsero che Pannella non era che lo specchio, freddamente utilitario, della crisi del sistema italiano nel suo complesso. Il leaderismo è oggi regola, la personalizzazione della leadership è, insieme, un portato della logica bipolare e della fine del partito ideologico e di massa. Che l'evoluzione possa significare anche un regresso della "partecipazione" delle masse, dei cittadini, ad una vi

ta politica ridotta sempre più al solo momento elettorale, è possibile; ma la responsabilità non può essere gettata su chi coglieva il segno dei tempi da una posizione di costretta minoranza, e invece di lasciarsene condizionare o abbattere se ne faceva una forza, o una via di resistenza.

Ai tempi, al tempo politico nella sua globalità e complessità, Marco Pannella è sempre stato sensibile. E' la forza della sua originalissima cultura politica. In queste lettere, l'attenzione agli avvenimenti internazionali è preponderante. Non v'è scelta da fare, decisione da prendere, che non sia vagliata nella sua rispondenza alle vicende europee e non solo europee. Si guardi all'analisi del sistema dei partiti comunisti e della loro presenza in Europa. Quando del sognato partito radicale non v'è nemmeno l'ombra, Pannella si arrovella per crearlo raccogliendo un gruppo di personalità internazionali attorno a un "Tribunale internazionale (intitolato a "Norimberga") per la condanna dei crimini del colonialismo francese in Algeria". Il progetto (per il quale Pannella stende un articolato Statuto, che non abbiamo qui potuto pubblicare) non nasce, ma il "Tribunale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia" nasce eccome, due anni fa, su determinante sollecitazione all'ONU dei pannelliani.

Internazionalismo dunque, "durata" (durata "bergsoniana", spiega Pannella), coinvolgimento totale, anche personale e affettivo, proprio e dei compagni di lotta: Giuliano Rendi in primo luogo, interlocutore fidatissimo, sollecitante prima ancora che sollecitato, consigliere, suggeritore discreto, continuamente stimolato ad assumere responsabilità dirette e coinvolgenti; e poi via via gli altri, i nominati e i solo accennati, sempre destinatari di richieste e di progetti, incalzati, strappati a pigrizie e a lontananze, a diserzioni e a dimenticanze. Un quotidiano esercizio di allenamento, mai però arrogante o altrimenti, quando l'appello si dimostra inane e fallisce, disperato. Queste sono lettere di speranza, sempre.

Ecco dunque la ricetta che Pannella offre perché un partito nasca e sia vitale: un partito c'è quando c'è una "parte" che si costituisce come soggetto del fare politica. E' una risposta di enorme semplicità, addirittura elementare, ma di estrema efficacia. Rimanendo costantemente fedele a questo modello, riscoperto prima ancora che inventato, Marco Pannella è riuscito ad essere un protagonista della scena politica italiana. Attorno, fumano macerie imponenti di altri tentativi, tutti molto più ricchi, politologicamente, di motivazioni d'ogni genere: sociologiche e strutturaliste, ideologiche o magari solo generazionali. Questa differenza di destino non è certo casuale. E' possibile che il partito pannelliano non corrisponda comunque ai canoni della modellistica democratica. Sarà forse una sua miopia, una sua inadeguatezza: ma bisogna prendere atto che Pannella esplicitamente ritiene non esistano oggi, le condizioni "oggettive" perché il partito dell'alternativa possa assumere altre fattezze, altro corpo. L'al

ternativa - ammonisce - può, oggi, essere al massimo prefigurata, indicata. Può, paradossalmente, esistere come fatto "politico" privo, purtroppo, dello spessore sociologico che consentirebbe il ribaltamento rivoluzionante. Ma sarebbe assai peggio fingerne una rappresentazione parlamentare, che sarebbe solo una caricatura parlamentaristica.

***

Tra ire e furori, pagando sovente lo scotto di forzature strumentali, di incaponimenti ed errori, forse di un eccesso di titanismo giovanilistico, Pannella è comunque riuscito a salvare il vascello "corsaro" che altri gli rimprovera di aver creato. L'immagine del corsaro lui, però, non l'accetta. Di gran lunga preferisce ed usa l'immagine della lotta, della guerriglia partigiana. Una guerriglia che, secondo lui, dura in Italia da gran tempo, e di cui continuamente rammemora precursori e vittime: i Murri, i Salvemini, i Rossi, i Rosselli, persino i Terracini e i Borghi. Come si sa, ogni vicenda partigiana comporta risvolti oscuri e spesso drammatici. E' un tipo di guerra che richiede anche, se necessario, spietatezze senza riguardi né affetti, e Pannella non è, nel quadro, una eccezione. Ma si tratta pur sempre di una situazione "politica", per giudicare la quale vanno impiegati schemi politici. Purtroppo, tra tanti analisti e politologi avversari o amici, si tiene scarsamente conto di quel che Pannella, osti

natamente, di sé esplicitamente dice. Questi analisti non amano certe metafore, non le accettano. Forse, semplicemente, non le padroneggiano. Ricordiamolo, l'Italia è il paese dell'Arcadia accademica. Anche in politica.

Roma, febbraio 1997

***

Nota: Marco Pannella soggiornò a Parigi dal 1959 al 1962 lavorando tra l'altro, in qualità di corrispondente, al "Giorno". Le lettere che qui pubblichiamo fanno parte di un gruppo di 23, la maggior parte delle quali indirizzate a Giuliano Rendi, a Roma, mentre una (che pubblichiamo) è indirizzata a Gianfranco Spadaccia, una a Gerardo Mombelli ed una, infine, "ai Consiglieri nazionali del partito radicale". Si riferiscono al periodo in cui il Partito Radicale fondato nel 1955 era entrato in crisi, ma il gruppo guidato da Marco Pannella non aveva ancora assunto nemmeno la forma stabile di "Corrente di sinistra".

 
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