di PIETRO ICHINOCorriere della Sera, mercoledi, 14 Maggio 1997
Nel giro di poche settimane sono state presentate due proposte di legge, entrambe di area governativa, per la riforma dei licenziamenti nel settore pubblico e in quello privato; e Marco Pannella, sensibilissimo come sempre agli umori dell'opinione pubblica, preannuncia al riguardo una proposta di referendum. Nei giorni scorsi la relazione annuale dell'Antitrust ha sottolineato la necessita' di una revisione profonda dei vincoli che regolano l'accesso alle attivita' di lavoro autonomo. Tra le due riforme sollecitate da queste iniziative, apparentemente slegate tra loro, corre invece un nesso logico molto stretto: la limitazione dei licenziamenti svolge nel settore del lavoro subordinato una funzione sostanzialmente molto simile a quella svolta nel settore del lavoro autonomo dalla limitazione dei nuovi accessi.
La possibilita' per il lavoratore di fare pieno affidamento sulla continuita' del proprio lavoro e del proprio reddito e' sempre stata, e resta tuttora, un bene della vita tra i piu' apprezzati; il vincolo della stabilita' ha inoltre effetti benefici sull'accrescimento e non dispersione della professionalita' specifica dei lavoratori subordinati. Questo vincolo presenta pero' dei costi rilevanti: costi non soltanto per le imprese, quindi per i consumatori e gli utenti dei beni e servizi da esse prodotti, ma anche per i lavoratori stessi protetti contro il licenziamento, poiche' e' dimostrato che la garanzia di stabilita' ha, in generale, un effetto depressivo sulle loro retribuzioni. Inoltre - ed e' questo l'aspetto socialmente piu' rilevante della questione - la stabilita' dei lavoratori regolari, cioe' degli insiders, presenta un costo per gli outsiders, cioe' per i disoccupati, gli irregolari, i precari: quanto piu' inamovibili sono i lavoratori nell'area protetta, tanto maggiore e' la difficolta' di acce
dere a quell'area per coloro che, essendone esclusi, vorrebbero entrarvi.
E l'inibizione totale della concorrenza tra questi ultimi e i primi genera talora - non soltanto nel settore dell'impiego pubblico - posizioni di rendita e di privilegio gravemente ingiuste. Ben venga, dunque, una nuova legge che tuteli la continuita' del lavoro e del reddito non come un valore assoluto, ma come un valore relativo; una legge, cioe', che contemperi l'interesse alla stabilita' dei lavoratori regolari con tutti gli altri interessi in gioco e in primo luogo con una ragionevole garanzia di pari opportunita' per tutti nel mercato del lavoro.
Il discorso, pero', non puo' essere limitato al settore del lavoro subordinato: anche quello del lavoro autonomo - come e' sottolineato con forza nella relazione dell'Antitrust - e' disseminato di norme che di fatto tutelano essenzialmente l'interesse degli insiders a impedire o limitare fortemente la concorrenza degli outsiders. Tra queste vanno considerate innanzitutto le numerose leggi istitutive di albi e ordini professionali. Ma sono essenzialmente finalizzate a tutelare "chi e' dentro" contro la concorrenza di "chi e' fuori" anche le norme che impongono numeri chiusi e licenze amministrative per l'esercizio delle piu' svariate attivita', da quella del taxista a quella dell'agenzia di viaggio, da quella della scuola-guida a quella del commercio al minuto.
A difesa di questa legislazione, e in particolare di quella relativa a ordini e albi professionali, vengono addotti diversi argomenti: l'esigenza di tutela dell'utente contro il rischio di imbattersi in un professionista incompetente, l'interesse pubblico a che sia perseguito disciplinarmente chi non rispetta la deontologia professionale, la necessita' di un organismo che tuteli il "prestigio" della professione. Senonche', per il controllo della competenza professionale in fase di accesso non e' sempre necessario - ed e' anzi talora altamente inopportuno - che l'esame sia affidato proprio a coloro che sono controinteressati ai nuovi accessi. Lo stesso deve dirsi del controllo sulla deontologia, che oggi e' troppo frequentemente esercitato dagli ordini professionali in funzione esclusiva di interessi "di bottega" e non dell'interesse pubblico o degli utenti. Quanto al "prestigio" della professione, i pericoli piu' gravi che esso corre sono sovente proprio quelli derivanti dall'atteggiamento di gretta autod
ifesa corporativa tenuto dall'organo rappresentativo della categoria.
In realta', quando i fautori di un ordine o albo invocano la tutela del "prestigio" della professione, cio' che essi intendono difendere e' per lo piu' il livello e la continuita' dei redditi che dalla professione possono trarre gli iscritti; e la difesa migliore consiste nel tenere sotto controllo i nuovi accessi.
Le restrizioni dell'accesso alle attivita' di lavoro autonomo rispondono dunque principalmente a un'esigenza del tutto analoga a quella a cui risponde la disciplina limitativa dei licenziamenti nel settore del lavoro subordinato. Anche qui non si tratta di un interesse in se' disprezzabile; e anche qui la maggiore continuita' del lavoro puo' avere effetti positivi sui livelli di professionalita'. Ma non e' questo l'unico interesse in gioco: nel campo del lavoro autonomo come in quello del lavoro subordinato la legge deve dar voce e peso non soltanto all'interesse degli insiders, ma anche a quello degli outsiders, nonche' all'interesse degli utenti a una maggiore liberta' di concorrenza tra i fornitori di servizi.