da "Il Sole 24 ore" del 10 giugno 97
articolo di Remo Bresciani
titolo: sconti in farmacia "screditano" la professione
testo:
Un farmacista non puo' praticare forti sconti alla clientela perche' rischia di incorrere nelle sanzioni dell'Ordine professionale. Un simile comportamento del professionista, infatti, determina discredito per tutta la categoria e configura un'ipotesi di concorrenza sleale.
Il principio e' stato espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza 4909/97 che ha respinto il ricorso presentato da una farmacista piemontese. Il consiglio dell'Ordine dei farmacisti di Torino, a seguito di una segnalazione della Usl, aveva promosso un procedimento disciplinare contro una professionista, "rea" di avere venduto alcuni flaconi di prodotti medicinali a uso veterinario praticando all'acquirente uno sconto sul prezzo determinato dal Cip e riportato sulla confezione.
La professionista, durante l'audizione davanti all'organo disciplinare, non negava di aver effettuato degli sconti e, esprimendo il convincimento che la propria condotta fosse legittima, affermava anche di voler continuare a praticare gli sconti su quei prodotti. Il Consiglio dell'ordine le infliggeva pertanto la sanzione della censura che, in grado di appello, veniva confermata anche dalla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie. In particolare, i componenti della commissione rilevavano che, indipendentemente dalle opinioni sulla natura dei prezzi amministrati e di quelli sorvegliati, non e' mai ammissibile la vendita incontrollata, con margini di profitto cosi' elevati da determinare il discredito della categoria ovvero con sconti tali da raffigurare forme non corrette di concorrenza.
Di qui il ricorso in Cassazione. La professionista ha insistito per la legittimita' del proprio operato, rilevando che con l'introduzione del "regime di sorveglianza" per i prezzi dei farmaci veterinari ciascun farmacista ha la possibilita' di praticare prezzi inferiori a quelli indicati sulla confezione. Anche la Cassazione, tuttavia, le ha dato torto. I giudici di legittimita' hanno stabilito infatti che il problema riguarda la violazione di regole deontologiche e non la legittimita' della vendita di prodotti medicinali a prezzo inferiore a quello indicato sull'etichetta. La sanzione, concludono i giudici, e' stata inflitta dal consiglio dell'ordine non perche' gli sconti praticati siano di per se' illegittimi ma per il fatto che la loro "elevata entita'" configura un'ipotesi di concorrenza sleale.