L'ITALIA SI DISAMORA DEL REFERENDUM
Robert Graham sul decrescente sostegno per un strumento di riforma introdotto nel 1974
Marco Pannella, uomo politico storico del Partito Radicale, fu il primo in Italia a utilizzare il referendum come strumento di riforma con l'introduzione del divorzio nel 1974. Questa domenica spera che i suoi concittadini condividano il suo entusiasmo per il cambiamento attraverso sette nuovi temi.
Il suo è un percorso in salita. Amante delle acrobazie, Pannella si cimenta in scioperi della fame, maratone oratorie e fumate di hashish in pubblico; ora si è conquistato lo spazio televisivo vestito da fantasma, in segno di protesta per il rifiuto della televisione di dare sufficiente spazio alla sua ultima campagna.
Tuttavia, nonostante con questo sistema abbia attirato l'attenzione di un numero considerevole di persone, non è ancora chiaro se sia riuscito a ravvivare l'interesse dell'opinione pubblica. I sondaggi di opinione indicano che il 50% di votanti necessario per raggiungere il quorum domenica prossima è ancora a rischio.
"I Radicali meritano fiducia per essere stati capaci di cambiare l'opinione pubblica su alcuni argomenti cruciali", ha commentato il giornale della sinistra l'Unità, "ma potrebbero anche rovinarsi la carriera per avere creato e poi ridicolizzato un utile strumento di democrazia".
Sulla scia di 12 referendum votati in un blocco indigesto nel 1995, Pannella è riuscito a raccogliere 500.000 firme per altri 20 quesiti, ai quali si sono aggiunti 10 proposti dalle regioni.
Lo scorso gennaio, la Corte costituzionale ne ha cassati 19 - tra i quali, il più importanti era quello per l'abolizione della restante quota proporzionale del sistema elettorale. Da allora, altri quattro sono decaduti a seguito di modifiche legislative che hanno reso inopportuno sottoporre i quesiti a votazione.
I critici affermano che nessuno dei quesiti in ballo abbia un valore morale rilevante né abbia importanza tale per la nazione da giustificare i costi relativi alla stampa di 400 milioni di schede. Tuttavia, i radicali sostengono che sia assolutamente necessario stimolare o scavalcare il Parlamento poiché gli interessi acquisiti al suo interno sono tali che esso non può essere veramente "riformista".
Il referendum più importante in ballo domenica prossima è quello che vuole abolire la "golden share" prevista dalla legislazione del 1994 relativa alle privatizzazioni. Se fosse abrogata, lo Stato non avrebbe più gli strumenti per mantenere il controllo strategico delle aziende chiave che dovranno essere privatizzate, quali il gruppo Eni, l'Enel, e il gruppo Stet per le telecomunicazioni. Questo referendum nazionale coincide, nella città di Roma, con uno locale sulla privatizzazione della centrale del latte capitolina. Il risultato congiunto potrebbe dare un'indicazione chiara sulla volontà popolare in merito alle privatizzazioni.
Per quanto riguarda la politica interna, solo altri tre quesiti suscitano un certo dibattito: l'abolizione dell'ordine dei giornalisti, l'organo di autoregolamentazione che controlla l'accesso alla professione; l'abrogazione del diritto dei cacciatori di accedere ai fondi privati; l'abrogazione della carriera automatica dei magistrati basata essenzialmente sull'anzianità.
I restanti tre riguardano l'abrogazione del diritto dei magistrati di intraprendere attività extragiudiziarie, l'abrogazione dell'elemento di discrezionalità che limita la possibilità degli obiettori di coscienza di evitare il servizio militare, e l'abrogazione del Ministero dell'Agricoltura.
Più di vent'anni fa parteciparono al voto referendario oltre i due terzi degli elettori, ma nel 1995 la percentuale è scesa al 57%. Fatta eccezione per il tema delle privatizzazioni, i quesiti di domenica prossima incidono solo sugli interessi di gruppi specifici e ciò spiega l'indifferenza dell'opinione pubblica.
Tale apatia è stata inoltre esacerbata dal modo in cui l'esito dei referendum degli anni passati è stato facilmente stravolto. Nel 1993, per esempio, il finanziamento pubblico dei partiti era stato abolito, ma lo scorso dicembre una nuova legge lo ha reintrodotto senza alcuna protesta da parte dell'opinione pubblica.
Sempre nel 1993, un altro referendum abrogò il Ministero dell'Agricoltura, che fu successivamente convertito per decreto in Ministero delle Risorse Agricole. Quest'ultimo tentativo di abolire tale ministero è quasi fallito a causa di una nuova legislazione introdotta dal Governo di Romano Prodi per contrastare il referendum. Lo scorso lunedì, tuttavia, la Corte Costituzionale ha stabilito che la nuova legislazione non era in grado di bloccare il voto di domenica. Sarebbe tuttavia sorprendente se il Governo non ponesse subito rimedio, qualora i votanti fossero a favore dell'abolizione del ministero in questione, se non altro perché l'Italia ha bisogno di un Ministero dell'Agricoltura che gestisca i rapporti con i colleghi dell'Unione Europea. E' anche probabile che il governo correrà ai ripari per coprire il gap che si verrebbe a creare nel caso in cui la "golden share" venisse abrogata.