(E' un settimanale vicino a CL e alla Compagnia delle Opere. Lo scorso numero di "Tempi" recava un'ampia intervista a Pannella, oltre che un articolo di Formigoni invitante al voto per tutti i referendum, e come ultima pagina aveva un manifesto di appello al voto e a recarsi nelle segreterie comunali per sottoscrivere quelli che si condividono dei nuovi referendum proposti dai Club Pannella. Ricordo che sempre la settimana scorsa il presidente della Compagnia delle Opere, Giorgio Vittadini, ha diramato un comunicato ufficiale dell'organizzazione nel quale si rivolgeva il medesimo appello, al voto e alla sottoscrizione, con esclusione dei referendum su aborto e droga) E' interesse vitale del paese capire perché e in che senso si sia conclusa con un insuccesso la battaglia di libertà e democrazia dei referendum. Senza comprenderlo ogni azione di riforma nel senso delle libertà sarà più difficile.
Dall'"Unità" a "Repubblica" alle organizzazioni dei cacciatori, e via elencando, è stato tutto un coro saggio e virtuoso: è stato Pannella, hanno sentenziato, a svilire e affossare il referendum, abusandone, facendone uso sconsiderato, con quesiti incomprensibili che non interessavano la gente. Il "piccolo" particolare che tutti questi nobili e ben noti campioni - da sempre! - dell'istituto referendario hanno trascurato è che quello giunto al voto non è affatto il pacchetto referendario proposto da Pannella e dai riformatori, e su cui si erano raccolte le firme. Quello originario era un gruppo di quesiti che nel loro insieme proponevano un progetto, una linea di "grande riforma" liberale dello stato: dalla scelta fra pubblico e privato nella sanità, alla riforma del fisco con l'abolizione del sostituto di imposta, al sistema elettorale anglosassone, alla libertà di insegnamento nella scuola elementare, a una magistratura non più governata dalle correnti.... Fossero stati questi i referendum sottoposti
agli elettori, come secondo logica e diritto avrebbe dovuto essere, altro che mancanza di interesse e passione degli elettori, altro che disimpegno delle forze politiche di fatto incoraggianti a non votare! Sarebbe stata probabilmente la più appassionante e tesa prova elettorale dopo il 1948; nella quale a tutti e a ciascuno sarebbe stato chiaro che l'alternativa era fra la conservazione del vecchio sistema partitocratico-statalista-corporativo e una scelta di segno radicalmente liberale. E in questo contesto, ovviamente, anche i sei referendum sui quali si è effettivamente votato sarebbero apparsi nel loro effettivo valore di questioni rilevanti nell'ambito di quel disegno generale.
La partita vera, dunque, si è giocata quando la Corte costituzionale ha fatto fuori i referendum più significativi con sentenze che facevano scempio di ogni regola, ogni certezza del diritto, ogni decenza giuridica (fino a dichiarare inammissibile un referendum che, con lo stesso quesito, era già stato celebrato anni fa; fino a bocciare un referendum con una motivazione, e un altro con quella opposta). Risultato: un pacchetto "irriconoscibile", con questioni che, così isolate, era difficile far riconoscere come non "tecniche", da addetti ai lavori, ma riguardanti grandi questioni, come la qualità delle privatizzazioni, la libertà di stampa, la funzionalità della giustizia. Si aggiunga poi la decisione ("neutrale"!) del governo di fissare il referendum a scuole già chiuse, con tanti in vacanza, il silenzio dei mass media lungo gran parte della campagna elettorale, la mobilitazione astensionista del maggior partito della partitocrazia....
Insomma. Si è persa una partita giocata in condizioni di procurata impraticabilità del campo. Ancora una volta: la questione è quella delle condizioni del diritto e delle radicale mancanza di ogni certezza delle regole in Italia. Questo il tema. Questo l'obiettivo della battaglia da condurre. Anche con i referendum: se si riesce a conquistare le condizioni per tenerli giocando con carte non truccate.
Lorenzo Strik Lievers