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Conferenza Movimento club Pannella
Vernaglione Piero - 21 giugno 1997
Il referendum propositivo ci salverà?

Non intendo intervenire nel dibattito, che si è inevitabilmente aperto, sui destini politici del Movimento e, di conseguenza, sulla possibilità di introdurre riforme liberali nel nostro paese. Soprattutto perché una riflessione critica deve a mio avviso sempre accompagnarsi alla prefigurazione di strategie alternative coerenti, realistiche e incisive, ciò che non sono in grado di fare. In generale, pur avendo qualche divergenza su singole affermazioni o spunti analitici di Pannella (ma questo è normale per chiunque non porti il cervello all'ammasso), all'interno del movimento mi considero un "filogovernativo", nel senso che condivido gran parte delle scelte compiute dal gruppo dirigente negli ultimi anni. E anzi sono istintivamente infastidito da coloro che pretendono di dare lezioni di alta politica a Pannella, pensando di dimostrare come un teorema i suoi presunti errori tattici e strategici (costoro tra l'altro non si sono probabilmente resi conto di far parte di un movimento che la scienza politica class

ificherebbe fra i partiti "a leadership carismatica", il che esclude la possibilità di creare correnti o componenti cristallizzate con lo scopo, pensate un po'!, di ridurre lo spazio decisionale di Pannella e di garantire pratiche concertative pseudodemocratiche). Ribadisco soltanto il mio pessimismo circa il nostro futuro, la restrizione degli spazi di agibilità politica, la sottrazione degli strumenti necessari per disgregare gli assetti di potere esistenti (i referendum), l'impossibilità pratica di assumere iniziative che ci collochino al centro della scena politica. Tuttavia, la storia è imprevedibile, e a volte apre all'improvviso delle strade quando si pensava di essere finiti in un vicolo cieco. L'occasione nel nostro caso potrebbe essere il referendum propositivo. Sono perplesso di fronte all'ostilità di Pannella nei confronti di questo istituto. Egli sostiene che serve solo a supportare le maggioranze nel parlamento e nel paese, e dunque rappresenterebbe uno strumento plebiscitario volto a travolge

re le resistenze delle opposizioni. Tuttavia tale esito non è affatto scontato e tutto dipende dalle modalità di attuazione, e in particolare dai soggetti a cui viene attribuita la facoltà di iniziativa (solo parlamentari, parlamentari e cittadini, solo cittadini) e, nel secondo e terzo caso, dal numero di firme necessarie. Se il potere di iniziativa viene attribuito solo ai parlamentari, il referendum propositivo rappresenta un buono strumento nelle mani dell'opposizione (infatti è improbabile che la quota minima di parlamentari necessaria per sottoporre a referendum un progetto di legge sia superiore a un quinto). Se il potere di iniziativa è attribuito ai cittadini elettori, vi è la possibilità da parte di gruppi non rappresentati in parlamento, ma maggioritari nel paese su singoli temi, di rappresentare un "contropotere" rispetto alla maggioranza parlamentare. Naturalmente in questo caso è decisivo il numero di firme necessario per sottoporre a referendum una proposta di legge. Probabilmente tale numer

o verrà posto ad un livello per noi irraggiungibile (un milione e mezzo-due milioni). Ma si rifletta su un'ipotesi di questo tipo: una raccolta di firme per sottoporre a referendum un progetto di legge elettorale integralmente maggioritaria uninominale a turno unico, in cui riuscissimo ad aggregare preventivamente Segni, Cossiga, i liberali di Forza Italia e altre personalità sinceramente "anglosassoni" dell'area dell'Ulivo (Masi, Petruccioli, Barbera). Si ricreerebbe il clima riformatore del 1992-'93, con la certezza di un esito largamente favorevole (80-90%) all'approvazione della legge. Mi rendo conto che l'ipotesi è astratta e futuribile, ma volevo solo sinteticamente illustrare come, da un evento giudicato oggi da noi negativamente (l'introduzione del referendum propositivo in Bicamerale), potrebbero improvvisamente e quasi magicamente aprirsi prospettive inimmaginabili per noi e per il paese.

 
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