LETTERA APERTA DI MARCO PANNELLA AI GIUDICI DEL TRIBUNALE PENALE DI ROMA
"LETTERA APERTA AI MIEI GIUDICI, (DEI QUALI SO CHE SONO STIMATI E STIMABILI, FORTUNA NON SEMPRE ASSICURATA A TUTTI).
Signori del Tribunale,
quasi due anni fa, effetto immediato e consistente dell'azione nonviolenta a Porta Portese per la quale questo processo si sta svolgendo, fu quello di ridurre, circoscrivere, e in parte anche riparare, arresti, carcerazioni, criminalizzazioni (tutti di sicuro effetto criminogeno) assolutamente irragionevoli, di fronte ad episodi di vera o presunta "cessione gratuita" di minime quantità di derivati della cannabis.
Ma basta oggi sostare - come torna ad accadermi sovente - nei corridoi di questo Palazzo o visitare carceri, per constatare il numero altissimo, insopportabile di processi (insopportabile per la stessa amministrazione della giustizia e della polizia, oltreché per i cittadini processati) contro imputati di cessione di "droga" - o di prodotti così definiti.
Pochi giorni or sono, la Corte di Cassazione ha nuovamente decretato che la mera "cessione gratuita" di derivati della Cannabis, comunque effettuata, deve esser perseguita come una violazione della legge passibile - almeno secondo quanto dichiarato dal più diffuso dei telegiornali del servizio pubblico radiotelevisivo - di condanne "da otto a venti anni di detenzione"; comunque al carcere.
Da trentatré anni, ormai, ho pubblicamente lottato contro il formarsi, l'estendersi, la mostruosa crescita del flagello detto "della droga", trovando purtroppo conferma, nei fatti, delle analisi e delle previsioni da noi fatte grazie ad una lettura antiproibizionista delle cause e della tremenda forza del flagello.
Non ho più tempo per attendere altri anni di regime criminogeno, oltre tutto distruttivo della stessa immagine della Legge e delle leggi, così come di frazioni sempre più importanti delle nuove generazioni.
Da nonviolenti abbiamo lottato contro lo sterminio per fame nel mondo con la fame e la sete delle nostre lotte nonviolente, con risultati che sono ignorati ma che hanno consentito la salvezza di milioni di vite. E' da tempo l'ora di lottare contro la "droga", cioè contro questo flagello, con la "droga", contro leggi o giurisprudenze
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criminogene, con gli stessi "crimini" che producono e impongono; contro carceri ingiuste con il carcere; nella speranza - prima ancora che gandiana - socratica che la città dinanzi alla denuncia dello scandalo di leggi o di sentenze ingiuste le riformi, le migliori.
Abbiamo per gran parte della nostra vita politica, che per noi significa anche della nostra vita, lottato, tentato ogni via, con l'informazione, con referendum, autodenunce, condanne, assoluzioni, spendendo fiumi di energie e anche di danaro. Dopo questa semina, ora, la società, tutti noi, raccogliamo la decisione evocata della suprema Corte che conferma essere reato gravemente perseguibile la "cessione gratuita" a qualsiasi titolo di notorie "non-droghe", mentre la stessa suprema Corte ha da poco tempo confermato anche che non possa essere perseguito come reato l'acquisto (in conto terzi con le seguenti cessioni di importanti "dosi") di incontestabili "droghe".
La certezza del diritto non si ha laddove imperano bizantinismi giurisprudenziali o legislativi, così da causare l'impossibilità di rispettare (o deliberatamente e responsabilmente violare) le regole.
A questo punto, Signori del Tribunale, la stessa difesa rischia sovente di divenire oggettivamente ricerca bizantina d'una qualsiasi sentenza d'innocenza, possibile semplicemente a chi ne abbia i mezzi, fidando non di rado sul formarsi di "intime convinzioni" umane e civili nella coscienza delle persone-giudici, piuttosto che di loro "intime convinzioni" sul dettato delle leggi. Secondando, in qualche misura, il manifestarsi di giudici che pretendano o consentono di "fare" o "dire" "giustizia", anziché di applicare le leggi. Anche se queste - come è noto - possono essere o apparire "ingiuste" alla coscienza di uno o anche dei più. Leggi che occorre - in tal caso - riformare, e non già "interpretare" fino a rendere sentenza di "innocenza" per chi la legge vorrebbe colpevole; o viceversa.
Ma urge imporre dibattito consapevolezza, e certezza della legge, della sua ragionevolezza. Per questo, in questo processo rispondendo anche ai sentimenti che ciascuno può vivere con minore o maggior forza in diversi momenti, mi "difenderò" non esercitando in alcun modo il diritto di difesa chiedendo, con fiducia, che in tal modo mi si assicuri quel processo rapido e certo che la Costituzione prescrive, e che leggi, ordinamenti, strutture, troppo spesso impediscono di celebrare; anche - se non in primo luogo - ai giudici di questo paese.
Sono passati quasi due anni. Ora quel che mi importa, la sola "difesa" che mi interessi, che mi urge ed urga, è la vostra sentenza nella speranza che la legge non obblighi a giudicare secondo la più assoluta e manifesta delle irragionevolezze, come la Corte Costituzionale - lo scorso anno - mi è parso volesse suggerire e decretare.
Signori Giudici, rispetterò comunque la vostra sentenza".