Da "Il messaggero" - 19 luglio 1997 - pag. 12
di ANNA GUAITA
Dieci anni fa l'opinione pubblica italiana salvò la vita a un condannato a morte americano. Il nostro giornale fu in prima linea in quella battaglia, e insieme a noi si mossero le autorità politiche e religiose. Eravamo convintissimi di essere dalla parte della ragione. Eppure non ci venne mai In mente di chiedere al governatore dell'Indiana di risparmiare Paula Cooper perché "innocente". Sia Don Gennaro Greganti, il piccolo prete che riaccostò la giovane alla fede sia l'avvocato Bill Touchette, che la difese gratuitamente nei processi di appello, ci spiegarono che tentare un braccio di ferro su quel punto era sbagliato moralmente e strategicamente. Moralmente, perché lavorare per salvare solo il detenuto che potrebbe essere innocente vuol dire accettare come perfettamente legittima l'esecuzione degli altri detenuti nei bracci della morte. Strategicamente, perché c'era stato un processo con tanto di testimoni e prove: come potevamo noi dall'Italia contestare settimane, mesi di indagini di cui sapevamo ta
nto poco? Don Greganti e Bill Touchette avevano ragione. Oggi, Paula Cooper è salva. Mantenendo il dialogo su un piano etico, l'Italia portò I' opinione pubblica statunitense a ridiscutere l'equità della pena di morte inflitta ai minorenni e a giudicarla moralmente inaccettabile. Anche la battaglia per salvare O'Dell poteva seguire la stessa strada. Nel 1986, i giurati che condannarono a morte O'Dell non erano stati informati che se gli avessero dato !'ergastolo non avrebbe mai più ottenuto la libertà. Conoscendo i suoi trascorsi (cinque rapine a mano armata, un omicidio, quattro aggressioni di cui una a scopo di stupro), convinti che il carcere non lo aveva raddrizzato, i giurati credettero che solo la pena capitale potesse liberare la società da questo pericolo Non sapevano perché il procuratore non glielo aveva detto che con quei trascorsi O'Dell non avrebbe mal lasciato la prigione. Su questo punto, la battaglia Italiana avrebbe potuto davvero aprire un varco. Quello stesso 75 per cento dl americani ch
e credono nella sedia elettrica per i criminali più pericolosi, si dicono pronti ad accettare al suo posto l'ergastolo purché il detenuto non venga rimesso in libertà per buona condotta. Meno pronti sono invece ad accettare che un altro paese, che non ha seguito i processi, pretenda di sapere che un loro condannato è innocente, basandosi su una minuscola parte dell'immenso lavoro che ha portato alla sua condanna. Purtroppo è successo proprio questo, e il dialogo si è fatto stridulo. L'appello italiano per un sacrosanto gesto umanitario ha perso il suo mordente etico, per assumere un tono petulante e gli americani si sono irrigiditi. E intanto, ogni giorno che passa, la sorte di O'Dell, come quella dei tremila e più che aspettano il boia negli altri Stati, si fa un po' più disperata.