Roma, 26 luglio 1997
La sentenza delle sezioni riunite della Corte di Cassazione ha deluso la speranza di quanti pensavano che la riforma delle leggi sulla droga potesse ottenersi per via giurisdizionale. Il solo aspetto positivo di questa sentenza è che fa crollare - per sempre - gli alibi di quanti, dall'interno dello stesso mondo politico, hanno continuato a contare più sulla benevolenza dei giudici che sulla responsabilità dei legislatori.
La sentenza della Cassazione sviluppa, del resto, un filo di folle coerenza già compreso nella legge sulla droga.
La "via italiana" al proibizionismo è - come ormai di evince con assoluta chiarezza - la via della totale incertezza del diritto.
In Italia si è giunti a stabilire per legge (ed a conferma re per sentenza) che chi regali una "canna" ad un amico è uno spacciatore, mentre chi pretenda di esserne almeno in parte ripagato non è passibile di sanzioni penali. In Italia si è giunti a stabilire che i consumatori abituali di cannabis (che, come tutti sanno, anche i giudici della Cassazione, acquistano in genere grande quantità di sostanza per risparmiare sul prezzo unitario delle dosi, come le casalinghe fanno con i detersivi) sono un po' più spacciatori, se poveri, e un po' meno, se ricchi.
Ma soprattutto, in Italia ci sono ormai intere falangi di antiproibizionisti "eccellenti" che, ricoprendo prestigiosi incarichi di governo e di maggioranza, stigmatizzano le sentenze delle "Corti" ma assolvono i silenzi dei Parlamenti, e continuano peraltro a fare gli amministratori, sia pure critici, della repressione che dicono di avversare.
E' possibile che in tutta la maggioranza non vi siano almeno cinque parlamentari disposti a giocare la propria fortuna politica sulla riforma urgente e necessaria della legge sulla droga? E' possibile che non vi siano cinque parlamentari disposti a fare delle proprie "posizioni" una ragione di vera lotta e scontro politico?
Al momento, le sole tappe certe di questo non più differibile processo di riforma sono, per l'appunto, "processi": quelli che vedranno entro l'autunno condannati (forse: a lunghe pene detentive) quei militanti radicali e riformatori, che hanno "spacciato droga".
Ancora una volta la nonviolenza e la disobbedienza civile finiranno per dimostrarsi la via più adeguata, urgente e prudente per la riforma e per il diritto.