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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Angiolo - 31 luglio 1997
SERVE ANCORA, IL PDS, A ROMA?
di Angiolo Bandinelli

("L'Opinione", 31 luglio 1997)

Nota. Benché nemmeno citato, a R.R., dalla Cesaretta, ritengo non inutile, per chi si occupa di rivoluzione liberale, questo intervento su Roma.

***

Su un quotidiano inappuntabilmente progressista, Goffredo Bettini, capogruppo del PDS al Consiglio Comunale di Roma, ha detto che Rutelli potrà più facilmente vincere se sarà "a capo di una coalizione larga, una 'casa' in cui convivano moderati e comunisti, con dentro anche Segni e Pannella". Incredibile: Pannella non era lo scomunicato di Michele Serra, quello dei troppi, inutili, antidemocratici referendum?

A tre o quattro mesi dalle amministrative romane (che potrebbero anche essere anticipate per tagliare l'erba sotto i piedi al duo Borghini-Buontempo) la campagna viaggia ancora in sordina, ma non senza già le prime sorprese. La prima, sicuramente, il monito di D'Alema alla maggioranza capitolina a non sottovalutare i rischi delle periferie romane, da dove Teodoro Buontempo ha lanciato la sua sfida. Rutelli ha cercato di glissare, ricordando che la sua amministrazione ha già speso, per periferie e borgate, quasi duemila miliardi. Però Rutelli è troppo smaliziato politico per non sapere che non sono i soldi che assicurano, direttamente e in proporzione, consenso e voti. Altrimenti, una campagna politica somiglierebbe spiccicata ad un mercato e ogni Lauro sarebbe un Machiavelli.

Quando Rutelli venne presentato quattro anni fa, col suo motorino e la sua gioventù impersonò senza difficoltà il Peter Pan che scende tra la gente per compiere leggeri miracoli e raccontare favole pulite. Riuscì a mani basse, anche perché al posto del malvagio Capitan Uncino c'era un sindaco approssimativo, alla testa di una sbrindellata compagine curva sotto un insostenibile fardello di incurie, incapacità, corruzione. Roma era, allora, al suo peggio.

Il sindaco di Roma è cresciuto, maturato e, rispetto al Peter Pan di ieri, si è fatto irriconoscibile, o quasi. Inappuntabilmente vestito, frequenta il golf e ambienti di classe, ha amicizie internazionali, è rassicurante per i poteri forti almeno quanto ieri lo era per i fricchettoni del partito radicale, drogati, omosessuali o ambientalisti. Ha in pugno tutto quel che è necessario per condurre una campagna elettorale di prim'ordine, grintosa e perfino spietata contro chi vorrà metterglisi di traverso.

Però, qualcosa non quadra. C'è un eccesso di ansia, nel fatto che Bettini corra qua e là ad accattare repubblicani, moderati e socialisti d'ogni risma, a lusingare Segni e Pannella, o nel fatto che alcuni distinti imprenditori, blasonati ed esclusivi, si prestino platealmente a sponsorizzare la campagna rutelliana. Non gli basta l'evidente appoggio di certe gerarchie vaticane e paravaticane accorse al suo fianco attraverso (ma qui scherziamo) i cunicoli del sottopassaggio della mole adrianea, così promettenti per il megaffare del megaparcheggio con annesso megastore gianicolense. Gli occorre mobilitare altre forze, sopratutto sfondare - come si dice - al centro: là dove dicono che si vince.

Eppure, quattro anni fa, la vittoria fu conquistata in periferia. Le periferie sono per tradizione il grande serbatoio del consenso del partito di massa per antonomasia, il già comunista PCI ed oggi democratico PDS. Su quelle masse si è retta per decenni l'opposizione di sinistra, alle giunte centriste e poi di centrosinistra, con i suoi leader, primo tra tutti un mitico Aldo Natoli; su quelle masse il grande Petroselli ha costruito e giustificato un lungo governo capitolino, non sempre apprezzabile per risultati però decoroso nei rispettosi, ma formalmente non troppo accondiscendenti omaggi al Papa. Pensare a un PDS senza le tradizionali masse popolari dei disagiati quartieri fuori (o anche dentro) il raccordo anulare è, dovrebbe essere, una autentica eresia politica.

Questa sembra essere invece la situazione romana, almeno ad oggi: Rutelli che cerca di ingraziarsi il centro, i moderati, coi suoi doppiopetti blu, la mazza da golf, il nuovo look della signora, gli incontri con il Papa sotto la colonna di Maria Immacolata, e il PDS un po' spaesato, senza grinta, senza un suo ruolo, inquieto e insidiato a sinistra, nelle sue tradizionali roccheforti. Vedremo anche questo, che "er pecora" appaia lui, stavolta, come il Peter Pan sbarazzino o il Gianburrasca che va all'attacco del cattivo Capitan Uncino-Francesco Rutelli. Una stranezza, che però può apparire, e già questo è esilarante, concepibile.

Un PDS senza ruolo? E' la prima volta a Roma che questo potrebbe accadere. Con prospettive difficili a calcolare, in termini di politica cittadina, di costruzione di alternative, di ipotesi urbanistiche, economiche e gestionali. Se fossimo la destra, analizzeremo ben bene il fenomeno.

Come è possibile che in solo quattro anni, e anche dopo sforzi notevoli per superare le mille difficoltà incontrate e sopperire alle diecimila carenze di una città interiormente tarlata, informe, inguaribilmente provinciale, ingorvernabile per definizione, la giunta di sinistra possa solo temere di essere sconfitta?

Una prima risposta, insufficiente ma di qualche consistenza, potrebbe essere che anche questa volta dopo Petroselli, anzi ancor più questa volta, le sinistre hanno mancato al compito di creare una vera classe dirigente romana, saldamente incardinata nei gangli culturali prima che politici ed economici della città. Tra l'amministrazione e la gente c'è, visibile, un vuoto, che non bastano a riempire i volti (anche simpatici o patetici) dei frequentatori dell'Estate, morettiani e buonisti. Diciamolo, però, Rutelli e i suoi non hanno voluto che questo accadesse. Sull'urbanistica come sulle Olimpiadi, sul minuto e quotidiano procedere dell'amministrazione come nei troppo enfatici progetti sbandierati, la giunta Rutelli si è inimicata o ha tenuto lontane quelle forze intellettuali che erano il serbatoio di credibilità delle sinistre di opposizione (e anche, almeno in parte, di governo con Petroselli): da Zevi a Galli Della Loggia, il voltafaccia è stato impressionante. Sui due, e sugli altri che li hanno seguiti,

sono state rovesciate tonnellate di insulti, mentre salivano al ruolo di consiglieri del principe i Costanzo, i Montesano, una corte di gente di varietà, di spettacolo messa avanti e offerta alle plebi con una tecnica alla Lauro anni cinquanta. E, a sostituire l'Estate romana di Nicolini, un eccesso di materiali da spettacolini di provincia, che si distaccano dalle estati di Sgurgola più che altro per i mezzi a disposizione. Non si dispiaccia l'amico Borgna delle critiche: avrebbe potuto fare di più (e qualcosa ha pur fatto vedere) se avesse fatto parte di un altro team, proiettato sul serio al difficile, rischioso, ma non impossibile tentativo di creare o di far crescere un ceto culturale nuovo, radicato al centro e nelle periferie, dall'immagine forte, laica, progressista, col quale lanciare il progetto di una città-capitale in competizione con le altre capitali europee, tutte in fase di impressionante trasformazione.

La verità è che nessuno vuole, di là e di qua del Tevere, che Roma divenga una siffatta capitale. Per ragioni che qui è possibile solo accennare, Roma deve restare un campo di scorrerie di ogni genere, spirituali o finanziarie e speculative, o anche solo politiche; non divenire una città moderna, intimamente, irrevocabilmente moderna.

 
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