"PANNELLA E DI PIETRO DUE FACCE DI UNA MEDAGLIA"
di Francesco De Franchis
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"Ferragosto romano al Campidoglio. Migliaia di persone in attesa: anche nella capitale il movimento dei riformatori restituisce ai cittadini la propria quota di finanziamento pubblico ai partiti. Si tratta di denaro rubato, dicono loro: i soldi di cui abbiamo bisogno sono quelli che ci date volontariamente e non già quelli estorti con questa legge di cui chiediamo l'abrogazione con un referendum. Una legge che ha reintrodotto con un marchingegno da magliari napoletani quel finanziamento pubblico dei partiti respinto qualche anno prima da oltre 30 milioni di elettori.
In pratica, il sistema attuale significa questo: non già che un partito riceva il finanziamento che il contribuente decide liberamente di donare di quel 4 per mille del suo reddito; no, no. Significa, invece, che egli finanzia tutti i partiti, anche quelli che gli siano più ripugnanti. In effetti, la torta di circa 160 miliardi viene spartita tra i partiti in proporzione dei voti riportati alle ultime elezioni. Per esempio, il PDS con il 21% dei voti riceve, grosso modo, il 21% della torta (una fettona), i Verdi con il 3% dei voti ricevono il 3%, ossia una fettina, e così via. Che poi il contribuente non si sarebbe mai sognato, di dare volontariamente, se richiesto, un solo centesimo al PDS o ai Verdi per la legge non ha alcuna importanza.
Un amico londinese mi informa che la BBC ha mandato in onda un servizio sulla manifestazione; grazie alla parabolica anche da noi si è visto che SkyNews, canale televisivo britannico privato, non solo ha riportato l'avvenimento ma, facendo del corretto giornalismo, ha riprodotto in traduzione integrale la motivazione con la quale i riformatori hanno restituito quel denaro: si tratta di denaro rubato.
Di guisa che un giornalismo nostrano che voglia mantenere un analogo standard di correttezza non può ignorare un avvenimento che è una provocazione morale oltre che politica, il che spiega in buona parte la impoliticità di un messaggio in un paese in cui mezzo secolo di regime partitocratico ha devastato le coscienze.
Si ribatte che non c'è democrazia senza partiti e che, quindi, se si vuole la prima si devono volere anche i secondi finanziandoli con il denaro dei contribuenti: Bobo Craxi assicurava ai tempi di Tangentopoli che "la politica costa"; si aggiunga che senza quei partiti previsti dalla Costituzione, l'Italia non sarebbe mai passata da un paese agricolo a paese industriale (come se non fosse accaduto a decine di altri paesi); e, infine, che una volta finanziati pubblicamente i partiti, si elimina la corruzione del paese. Ma questo è un mix di mezze verità, sofismi e spudorate menzogne: è vero, invece, che non esiste democrazia compiuta là dove c'è un sistema di partiti all'italiana. Non solo: non esiste neanche una sana economia (basterebbe pensare al debito pubblico); le pazzie dello stato sociale italiano, come le devianze criminali della gestione dell'economia pubblica, le stesse strutture dell'economia privata, non sono spiegabili al di fuori delle specificità del regime partitico italiano.
Giuseppe Maranini fin dal 1967 aveva affermato : "Ben più che non il sistema politico prefascista, l'attuale sistema appare idoneo a fiaccare gradualmente il vigore morale ed economico della società italiana". Ma, studiosi a parte, non si può negare che nessun altro politico come Marco Pannella ha denunciato nelle piazze d'Italia e in parlamento con altrettanta veemenza e coraggio la natura profondamente antidemocratica e liberticida della partitocrazia italiana, il suo sostituirsi, di fatto, alla società civile alla quale ultima dovrebbe spettare, invece, in definitiva, il controllo sul potere di qualsivoglia genere.
Beninteso, si tratta solo di quei 160 miliardi, non varrebbe neanche la pena di scaldarsi troppo in un paese che di miliardi ne spreca centinaia di migliaia nelle intraprese più dissennate. Ma quei 160 miliardi sono il rito che consacra un sistema di corruzione istituzionalizzata che ha celebrato i suoi fasti davanti ai giudici di Milano e ora di Perugia e domani davanti a chissà quanti altri se solo si decidesse di fare certi processi. Al di là del fatto giudiziario, basterebbe ricordare le condizioni delle nostre Ferrovie che inghiottono valanghe di denaro pubblico, che il paese perde ogni anno decine di migliaia di miliardi di fondi strutturali dell'Unione Europea per l'incapacità di allestire decorosi progettini di investimento. Ma finanziamento pubblico ai partiti - sistema elettorale - sistema di governo sono cose che si intrecciano in qualsiasi sequenza le si voglia mettere: e quindi, la fine del finanziamento pubblico sarebbe, di fatto, alla lunga, anche la rovina di un sistema di governo che pochi r
impiangerebbero.
Del resto, è significativo che la classe politica consideri uno dei pochi grandi prosecutor italiani come Antonio Di Pietro alla stregua di un Ufo da blandire o distruggere: rivelando in tal modo l'assenza di intelligenza politica per apprezzare la natura del fenomeno che l'uomo, al di là della sua persona, è venuto obiettivamente a rappresentare; che, cioè, mette a nudo non già la mafia siciliana, ormai noiosa anche se tragica patologia, ma il groviglio di potere sul quale si fonda la "forza legale" nell'intero paese. Le riserve e, si direbbe, le preoccupazioni sul Di Pietro politico sono comprensibili; ma restano da rilevare le non poche ambiguità, esitazioni e reticenze dei riformatori sul Di Pietro demolitore giudiziario di quel sistema che Marco Pannella combatte sul piano politico. Eppure Marco Pannella e Antonio Di Pietro, con tutte le loro diversità, si presentano come due personaggi anomali della politica italiana: entrambi fanno appello a un certo sentimento morale del paese."