DEMOCRAZIA MESSA ALLA PROVA I profondi e inevitabili cambiamenti provocati dall'economia globale sono conciliabili con la libertà
Da "Il sole 24 ore" 10 settembre 1997 pag. 5
Intervista di Mario Platero
Lei teme la globalizzazione?
Non la temo. Ma so che sta cambiando il volto del nostro pianeta, del nostro modo di pensare, e di vivere. Per questo dobbiamo aprire le porte al cambiamento. Per questo dobbiamo adattarci. Per questo dobbiamo guardare avanti. Altrimenti possono essere rischi.
Rischi per la democrazia, come ha scritto nel suo articolo su "Foreign Affairs"?
Vediamo quali sono le coordinate del problema: da una parte la globalizzazione induce sviluppi irresistibili sul piano economico, sviluppi che puntano all'unificazione dell'economia mondiale. Dall'altra abbiamo reazioni di demoralizzazione dal punto di vista umano e sociale. Constatiamo in molti il desiderio di fuga. O di resistenza. Il popolo si sente perduto, incapace di controllare queste nuove forze che si sprigionano. Alla sfida dell'integrazione si risponde con la disintegrazione. Nasce la politica dell'identità. E questa, se portata all'estremo, produce un revival del tribalismo, del localismo. Le persone si rifugiano in gruppi sociali o religiosi sempre più piccoli, frammentati. I governi si debbono preoccupare di questo e debbono trovare il modo di scaricare l'ansia della gente.
Come?
Per esempio offrendo vie d'uscita in termini di crescita economica. Per esempio evitando di mettere sotto accusa le organizzazioni internazionali che hanno un ruolo di valvola di sfogo per accomodare il processo.
Lei si riferisce anche agli Stati Uniti?
Certo, anche agli Stati Uniti. Le forze di resistenza alle sfide della globalizzazione sono anche interne agli Stati Uniti. Pensi ai miliziani: si aspettano ogni giorno lo sbarco di truppe delle Nazioni Unite. E per questo si armano e si organizzano in gruppetti come quello che ha portato all'attentato di Oklahoma City. Ma pensi ai vertici dello Stato. Pensi al Senatore Jesse Helms (responsabile commissione esteri ndr) che minaccia di voler uscire dalle Nazioni Unite.
E in Europa?
In Europa accadono cose simili. Credo che se potesse, la popolazione tedesca insorgerebbe contro il Trattato di Maastricht e la moneta unica. In Inghilterra certamente il governo Blair è più possibilista, ma le resistenze sono fortissime. E in Francia, ci si vuole chiudere a riccio come per ignorare quella che loro chiamano la "mondializzazione", come fosse una malattia da sconfiggere.
Perché è convinto che l'evoluzione verso la globalizzazione e dunque verso l'integrazione sia inevitabile...
Perché la transizione dall'economia industriale a quella dei computer è una rivoluzione ....
Il premio Nobel Robert Lucas afferma che c'è stata soltanto una rivoluzione industriale, quella della fine del diciottesimo secolo in Gran Bretagna. Tutto il resto deriva da quella rivoluzione...
E' errato. Non sono d'accordo. La rivoluzione industriale ha comportato una emigrazione delle forze produttive dai campi agricoli alle fabbriche. La rivoluzione informatica sta trasformando un'economia basata sulle fabbriche in un'economia basata sui computer. Le dirò di più, si tratta di una rivoluzione ancora più violenta perché avviene in tempi brevissimi. La rivoluzione industriale ha consentito un adattamento nell'arco di tre generazioni. La rivoluzione informatica avviene in una settimana.
E lei afferma che le implicazioni vanno al di là dell'impatto economico? Certo. Le implicazioni sono talmente vaste da mettere in dubbio l'esistenza stessa dello stato nazione. Per questo siamo così colpiti, così affascinati dal fenomeno della globalizzazione: i problemi della globalizzazione trascendono la nazione. Di questo dobbiamo renderci conto. E' molto difficile gestire lo Stato nazione nell'era dei computer.
E per questo che parla di sfide alla democrazia?
Le sfide alla democrazia giungono persino dalla democratizzazione ossessiva.
Cosa vuol dire?
Voglio dire che torniamo al vecchio quesito che ci pose James Madison nei suoi »Federalist Papers . Vogliamo una democrazia pura o una democrazia rappresentativa? La democrazia pura è quella che consente ai cittadini di riunirsi in forma assembleare e autorappresentarsi. Nella storia americana le forme di democrazia pura sono state necessariamente limitate a piccole città o villaggi. Ma in un contesto più vasto occorre una democrazia rappresentativa, occorre una Repubblica. Ebbene oggi con l'introduzione dei computer, del tempo reale di internet, si parla di villaggio globale...
Brian Beedham, sull'Economist, ha detto che siamo a un passo dalla »democrazia piena , ma sembrava ottimista...
La chiami come vuole: democrazia pura, come Madison, democrazia plebiscitaria, democrazia diretta, ciberdemocrazia o municipio elettronico. Ma l'interrogativo di fondo resta. Si tratta di sviluppi desiderabili? La mia risposta è no.
Perché?
Perché il cittadino medio risponderà alle passioni e al pregiudizio. Perché si rischierà di eliminare l'equilibro dei poteri che si controllano l'uno con l'altro. Una democrazia interattiva incoraggia risposte Immediate, diventa un pulpito per la demagogia, per l'egomania, per l'insulto e per l'odio. Del resto, basti ascoltare alcuni dei nostri programmi radiofonici.
C'è anche il rischio di una degenerazione nel totalitarismo? Prima di affrontare questo problema dobbiamo stabilire il rapporto tra capitalismo e democrazia. La democrazia è impossibile senza la proprietà privata perché la proprietà privata - risorse al di fuori del controllo arbitrario dello Stato - ci fornisce l'unica base sicura per l'opposizione politica e per la libertà intellettuale. Se la democrazia ha bisogno del capitalismo. il capitalismo non ha bisogno della democrazia...
Credo che questa affermazione sia contestabile: il capitalismo senza democrazia non può fiorire, totalitarismo significa repressione della libertà e dunque della concorrenza. Credo che ogni economista la smentirebbe: il capitalismo senza concorrenza e senza il libero mercato non sarebbe quello che è oggi.
Fino a un certo punto. La variabile determinante è il tempo: e nel breve periodo, sono certo che molti economisti saranno d'accordo. il capitalismo non ha bisogno della democrazia. Ma non è forse stato storicamente breve il periodo di prevalenza del totalitarismo nazista o fascista? Breve, ma devastante dal punto di vista della sofferenza.
Lei dunque vuole mettere nell'equazione per uno sviluppo equilibrato della globalizzazione anche un controllo del capitalismo?
Certamente del capitalismo sfrenato. Lo ammette persino George Soros, l'impersonificazione stessa del libero mercato: "Il proseguimento disinibito dell'interesse egoistico può condurre a diseguaglianze intollerabili e all'instabilità."
Se per questo anche Robetr Bartley, uno degli ideologhi repubblicani, chiede il recupero di un senso di comunità".
E' vero, ma il processo è appena agli inizi e sarà molto importante impedire una degenerazione delle forze capitalistiche in direzione antidemocratica.
L'America è una "comunità" pronta alla globalizzazione?
L'America è una Nazione. E certo uno dei paesi più aperti del mondo, pur con tutti i limiti che abbiamo discusso prima.
E l'Europa?
Per ora è una collezione di burocrazie. Non c'è un patriottismo europeo. Non c'è un valore unitario che valga scelte di vita o di morte per un cittadino. Per arrivarci occorre sviluppare un processo politico molto più avanzato di quello che esiste ora. Le differenze di tradizioni e di lingue non aiutano... forse per questo le reazioni contro la globalizzazione economica sono più forti in Europa che da altre parti.
Come concilia il totalitarismo cinese con la globalizzazione? La Cina sta cambiando lentamente. E' il classico esempio della differenza culturale che esiste, in un contesto più vasto, fra il mondo occidentale e il bacino asiatico. Millenni di dittature entrano a far parte del patrimonio genetico di una nazione. Ma la Cina ha cominciato con i cambiamenti economici. La classe dirigente cinese non vuole commettere l'errore di Gorbaciov. Lentamente si svilupperà una classe media e con essa nasceranno richieste di maggiore libertà. Certo che nella globalizzazione questi conflitti ''culturali" non saranno cosa da poco. Anche se non sono pessimista come Huntington: l'India ad esempio è una democrazia. Quanto difficile sarà adattarsi ai cambiamenti richiesti dalla globalizzazione? La passione umana per la continuità è enorme. Henry James diceva: »Accettiamo di cambiare con riluttanza e quanto più lentamente possibile. Eppure, alla fine, cambiamo".