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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Michele - 25 settembre 1997
LE IPOCRISIE SULL'ART.192 C.P.P.
di Michele De Lucia

Si è riacceso in questi giorni, in occasione della presentazione del disegno di legge sulle nuove regole per i collaboratori di giustizia, il dibattito sulla riforma dell'art. 192 del codice di procedura penale (per intenderci, quello che dispone che le dichiarazioni coincidenti di due o più pentiti possono essere considerate come una prova).

Alla testa dei contrari ad ogni modifica dell'attuale testo vi sono Giancarlo Caselli, Pierluigi Vigna, Del Turco, il ministro Flick ("meglio costringere i pentiti a dire tutto e subito": benissimo, ma che c'entra col 192?), Guido Calvi (avvocato di D'Alema), il pm Ingroia (ieri a Repubblica: "un regalo alla mafia, senza il 192 Riina sarebbe stato assolto).

Il guaio è che le argomentazioni dei favorevoli, facilmente tacciabili di "integralismo garantista", non sono certo più articolate: si parla genericamente di "garantire i diritti della difesa" (Zecchino del Ppi, Gaetano Pecorella - presidente dell'unione camere penali), anche qui senza venire mai al dunque e, quando si tratta di parlamentari e burocrati, con il dubbio che si prenda posizione solo per difendere se stessi o qualche compagno di partito.

Cerchiamo di capire come stanno davvero le cose, analizzando puntualmente il testo integrale della norma.

ART. 192 C.P.P. - VALUTAZIONE DELLA PROVA

PRIMO COMMA "Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati."

Non fa una piega: significa che è inutile che il giudice adduca una o più testimonianze, se non spiega perché le abbia credute.

SECONDO COMMA "L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti."

Vi risparmio, perché ci porterebbe fuori strada, un elenco sterminato di sentenze della Cassazione, a sezioni unite e non, che fanno di questo comma (superfluo) una fonte inesauribile di confusione (e quindi di incertezza del diritto).

TERZO COMMA (quello incriminato) "Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in procedimento connesso sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità."

E' quella che in linguaggio tecnico giuridico si chiama "regola d'esclusione": LA DICHIARAZIONE DEL PENTITO NON VALE DA SOLA, CONTA SOLO SE CONCORRONO CON "ALTRI ELEMENTI DI PROVA ".

Ma è chiaro (e siamo al cuore del problema) che si tratta di un FINTO LIMITE: dove il pentito - narrante sia creduto, le conferme non mancano mai. E' evidente che una chiamata di correo, in se' e per se', è argomento monco, ma non ci vuole niente a "vestirla". E qui entrano in gioco i "riscontri" del comma 2, con una casistica delirante della Cassazione (che invece di dire se la singola sentenza in esame è sbagliata, e perché, si lancia in in-credibili tentativi di dettare "teorie dei riscontri" che nessuno comprende) contro ogni principio di civiltà giuridica: qualche esempio.

1993 e 94 "Anche conferme marginali conducono alla ragionevole convinzione che il chiamante non abbia mentito." Alla faccia degli "indizi gravi, precisi e concordanti".

1994 "Non sono necessari riferimenti diretti ai fatti de quibus." Ma scherziamo?

1993 "Confermati su un punto rilevante, discorsi intrinsecamente attendibili valgono nell'intero." E magari li conferma lo stesso pentito, ritrattandoli in modo poco credibile (21 maggio 1992, Biava, 1992,803 per chi volesse andarsi a vedere questo capolavoro di sentenza).

Si tratta di formule passe - partout, buone per ogni uso, dall'inquisizione più pura e feroce (quella dei giustizieri, vero Caselli?) allo pseudo - garantismo (il garantismo estremista, quello non credibile e vulnerabile).

Appare dunque in tutta la sua chiarezza la vera questione: si difende l'attuale 192 perché i riscontri non ci sono (quasi) mai. Il pentito sa che "collaborando" ha un futuro roseo innanzi a se': stipendio, casa, vacanza, protezione "ma sì, ma che mi frega, vi racconto quello che VOLETE ". Al Caselli di turno (non c'è solo lui, poverino) non sembra vero: può finalmente arrestare tutti i cattivi, e soprattutto può sentirsi più "buono e giusto". Perché perdere tempo a cercare prove e riscontri (quelli veri, non la "roba" della Suprema corte)? Non sanno trovare prove e riscontri, non sanno fare (e non fanno) le indagini: se cade il 192 comma 3 non sono in grado di portare a termine nemmeno un processo (valgono, insomma, considerazioni analoghe a quelle sulla riforma del 513): per questo, e contro questa barbarie, bisogna modificare la legge. E modificarla subito.

P.S. Un'osservazione sulla posizione del ministro Flick, pure uomo intelligente e di grande cultura giuridica: "costringendo i pentiti a dire tutto e subito, si elimina il rischio di testimonianze artatamente incrociate per incastrare gli imputati." E se prima concordo la versione e poi mi faccio (ci facciamo) arrestare? Come la mettiamo?

 
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