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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Paolo - 1 novembre 1997
ROBA DA MANUALE

Le argomentazioni di Vincenzo Donvito qui espresse a proposito della scarcerazione dei compagni arrestati per l'ultima disobbedienza civile con l'hashish, sono del tutto legittime, e sono senza dubbio di aiuto alla riflessione operosa di tutti. Non condivido molto di quel che Vincenzo ha detto, e che credo sia passato per la testa di molti compagni; ma trovo estremamente utile il fatto che Vincenzo questo esprima, e il merito di quel che dice; Vincenzo, come sono certo diversi o molti altri.

Non dico questo perche' a Vincenzo voglio molto bene da quattro lustri.

- La iniziativa di disobbedienza civile sulle non-droghe (e perche', poi, non-droghe? a me interessa che la legalizzazione affermi il diritto di ciascuno di mettersi in bocca o nelle vene quel che gli pare, droghe, concio o altro; ma in termini tattici ogni cosa ha il suo tempo - cfr. infra) la battaglia per la legalizzazione delle cosiddette non-droghe e' una battaglia, e non una campagna di informazione. L'obiettivo della iniziativa nel suo complesso e' vincere sul punto della legalizzazione di queste sostanze. Vincere. Cioe' conquistare legalita', norme, leggi, nero su bianco.

Comprendo che la primazia annessa al ruolo dei media possa risultare travisata anche a causa di certe insistenze e sottolineature dello stesso Pannella in questa stessa conferenza. Ma il punto e' vincere. Ci vorra' non poco tempo, probabilmente.

L'obiettivo non puo' essere quello di conquistare spazi su tv e giornali, e certe insistenze in proposito non mi sembrano utili. Perche' il punto dei media e' un altro: quello della cancellazione di una identita'. Non direttamente e meccanicamente quello per cui distribuire bustine serve e serve soprattutto a passare sui media. O prolungare gli arresti domiciliari serve a passare sui media. Perche' l'obiettivo non sono i media. In Italia ci troviamo nelle condizioni per cui una maggioranza in Parlamento non sembra esservi, ed e' il Parlamento che fa le leggi, mentre il consenso nel paese e' montante. Il punto e' rendere legislativa una maggioranza che immaginiamo esservi, o che siamo certi vi sia o vi possa essere.

I media sono centrali, e non c'e' manco da dirlo; purche' se ne veda il ruolo in funzione del conseguimento di una vittoria (e questo termine non e' scelto a caso).

- Un esempio puo' soccorrere. Se siamo certi che oggi una maggioranza in Parlamento non c'e', e mi sembra che oggi non vi sia su questo alcun dubbio, l'obiettivo di una battaglia non potrebbe essere quello di imporre la discussione e il dibattito parlamentare sulle leggi li' depositate (salvo altri fattori in ballo, che per ora metto da parte per economia di ragionamento).

Le diversita' di analisi che si scorgono in giro non possono non risolversi, mi sembra, nella diversita' di chi ritiene che il momento attuale consenta di vincere in parlamento su una legge, e chi ritiene che oggi non sia possibile. Una divergenza di opinione che insiste soltanto sulla analisi della situazione. E niente affatto su etiche e legittimita' morali.

- A me sembra che dal punto di vista nonviolento, se cosi' possiamo dire, la uscita dagli arresti dei nostri compagni sia semplicemente da manuale. Da manuale nostro, beninteso, enon da manuale canonico di nonviolenza statica... Secondo quest'ultimo tipo di manuale la legittimazione di alcune soste, o pause imposte da Gandhi, per esempio, e' stata fatta derivare da motivazioni moralistiche, o meccanicistiche, per cui Gandhi avrebbe sospeso una lotta in attesa della maturazione di fattori umani o di coscienza da parte di un numero adeguato di individui, o perche' in un dato momento sono risultati essere soddisfatti alcuni obiettivi molto parziali del confronto.

Io parlo di un manuale diverso, quello nostro perche' e' della storia nostra, redatto e composto con le storie nostre. Un manuale, quindi, per cui si tende ad interpretare nel massimo della politicita' la possibilita' di conseguire obiettivi che abbiano ricadute assai piu' vaste di quelle contingenti - eppure importanti - della presenza sui media e del porre in atto un confronto senza con la medesima attenzione porsi il problema di prevalere, in quel confronto.

Siamo certi che nei prossimi 6 mesi sia possibile mettere all'ordine del giorno del Parlamento italiano la questione? Credo che le battaglie nonviolente debbano porsi l'obiettivo di vincere, e di porre le affermazioni di volonta' in relazione e nesso causale con il conseguimento degli obiettivi. E per esempio, il fatto che il Parlamento italiano abbia a che fare con la Finanziaria, ora, non va tenuto in non cale - giusto per fare un esempio, dico.

- Il risultato conseguito dall'arresto e dalla scarcerazione dei nostri compagni, d'altra parte, e' concreto. Concreti sono i processi gia' incardinati; concreti i processi futuri.

Non credo nella meccanica causalita' tra atto e obiettivo: la causalita' occorre costruirla, e senza casualita'.

- Noi dobbiamo arrivare ad una situazione per cui risultera' insopportabile il mantenimento in vigore delle norme oggi vigenti. In modo che vengano mutate. Questo si puo' fare in vari modi.

Ma un gruppo di poveri disarmati che per contrastare un battaglione di carrarmati non dispone che di una dozzina di mazzafionde cerca di portare il confronto, lo scontro in una palude, piuttosto che in una prateria asciutta. Cosi', quanto meno i carrarmati si impantanano.

- Io non credo che la battaglia sulla legalizzazione delle droghe sia la madre di tutte le battaglie. Cosi' come non ho mai ritenuto che il divorzio fosse al tempo la madre di tutte le battaglie civili. Ma il divorzio in se' sarebbe stata poca cosa. Quella cosina li' provoco' e insieme rappresento' il mutamento profondo che si era creato nella societa' italiana, ed ebbe ricadute dirette molto piu' ampie del divorzio in se'; nel bene e se vogliamo pure nel male, in alcune conseguenze indirette che contribui' a far si' si verificassero negli anni 70.

- Non credo alle battaglie in se'. Non credo al meccanicismo per cui una battaglia giusta, chiunque la vinca, va bene vincerla. Forzo un po', ma cerco di farmi capire.

Se la battaglia sulle non-droghe la vince una ditta e' una cosa; se la vince una ditta diversa e' tutta un'altra cosa.

E' soprattutto in questo il nesso tra mezzi e fini che e' la noce sperimentale della teoria politica nonviolenta.

Non credo ad un movimento per la legalizzazione che non sia il concentrato e il prodotto della nostra storia, anche in termini organizzativi. Vincere questa cosa (e io, l'ho detto, sono certo che sia soltanto questione di tempo) come espressione della forza maggioritaria di pensiero e poieo liberale e' cosa diversa dal vincere questo come aggregazione di una maggioranza che alla fine comprende che e' il male minore. Non riesco e tanto meno intendo guardare alla battaglia legalizzazione come ad un mero fine, e non anche o soprattutto ad un passo strumentale forte e alto. Soprattutto forte.

- Sono convinto, e l'ho detto, che noi daremo la spallata finale alla legislazione attuale sulle non-droghe quando saremo in centinaia a farci portare via, nell'arco di settimane, con costanza, e magari con attenzione a dati spettacolari e quasi militari. Sara' la spinta finale del braccio di ferro. Ma non mi sembra che questo oggi sia vincente. Perche', ripeto, il nonviolento vuole vincere e basta. E si pone il problema del rapporto tra mezzi e fini soprattutto in relazione al potere vincere.

- La battaglia sulla droga e' strumentale, come quella sulla Cina, se volete, come quella sulla Corte Penale Internazionale permanente. Il problema nostro non e' nemmeno quello della democrazia, in Italia e ovunque. E' molto piu' semplicemente, e molto piu' pertinentemente, il punto e' nel diritto. Nella valenza del diritto, nella sua cogenza.

In questo e' per questo si puo' vincere bene una battaglia o si puo' vincere male. Il problema del mondo di oggi, tanto quanto della Italia di oggi, e' nel rapporto tra individuo e ordinamento. Il conseguire leggi con la battaglia nonviolenta puo' portare a imporre normative liberali oppure non. Porsi questo problema non e' evitabile.

- Vi sono nel mondo dei Trattati internazionali che impediscono quasi tutto, in materia. La leva va portata la'. E senza questo alveo e questa contezza non si vince. Ne' si vince se la battaglia in Italia non si conduce in questa prospettiva. Che e' appunto la prospettiva strategica funzionale a vincere, dopo avere imposto il terreno della vertenza.

- La battaglia ingaggiata e' dunque assai complessa, e per certi versi pure complicata. Occorre guardarvi ricercando nitidezza.

- Credo comunque che a chi riflette, facendo e operando, su quel che si fa sia da inviare un ringraziamento. Forte e chiaro.

 
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