CORRIERE DELLA SERA Sabato, 20 Dicembre 1997L'ultima impresa del conte rosso che voleva cambiare nome al Pci
Fernando Proietti
ROMA - Grandi rompiscatole gli eredi Carandini, figli di Nicolo' ed Elena
Albertini. Gia', non c'e' soltanto il conte Guido, 68 anni ben portati, a
far rumore (e scandalo) guidando la rivolta degli allevatori fin sotto
le finestre di Romano Prodi a Palazzo Chigi. Anche suo fratello Andrea,
62 anni, archeologo, da tempo e' al centro di feroci polemiche con mezzo
mondo accademico e politico perche' vuole demolire, in tutto o in parte,
la via dei Fori Imperiali, che oggi unisce piazza Venezia al Colosseo.
Un progetto di scavi bollato come una "follia" dallo storico dell'arte
Federico Zeri. Ma alle accuse dei suo detrattori ("Vuole cancellare l'ex
via dell'Impero soltanto perche' e' stata costruita durante il fascismo"),
il professore-archeologo ha quasi sempre scelto di replicare con il
silenzio.
"A che serve intervenire per polemizzare con gli storici dell'arte che
ormai detengono il monopolio della stampa?", spiegava ai cronisti,
altero, l'altro conte, Andrea. Ma i Carandini sono fatti cosi'. Capaci di
attrarre simpatie e antipatie in pari misura e quantita'. "La terra ai
Carandini", ironizzava Ennio Flaiano nella fortunata stagione del
"Mondo" di Mario Pannunzio, quando Nicolo', papa' di Andrea e Guido ed ex
costituente, ne era una delle anime politiche. "I leader politici del
gruppo, unanimemente riconosciuti come tali, erano Nicolo' Carandini e
Leone Cattani. Erano stati, ancora in tempi di clandestinita', tra i
fondatori del partito liberale e l'avevano rappresentato nel Comitato di
liberazione nazionale", ricorda Eugenio Scalfari nel suo libro "La sera
andavamo in via Veneto".
Dall'altra parte della barricata, a destra, quegli stessi protagonisti
della battaglia antifascista e liberale venivano bollati come i "maniaci
della firma" dai nemici del "Borghese" di Gianna Preda e Mario Tedeschi.
Tra questi maniaci, c'e' il "solito Carandini". Sia pure in buonissima
compagnia: Salvemini, Salvatorelli, Parri, Togliatti, Nenni eccetera.
Gia', i Carandini, padri e figli. Con Nicolo', primo ambasciatore a Londra
dell'Italia postfascista, che sposa Elena Albertini, figlia di Luigi, il
mitico direttore del "Corriere della Sera". Basta sfogliare le pagine
del diario di Elena Carandini Albertini scomparsa nel 1990 (edito da Il
Mulino) per capire e comprendere poi l'attaccamento di suo figlio Guido
per la tenuta agricola di Torre in Pietra, alle porte di Roma. Terreni e
castello furono bonificati nel 1926 da Albertini dopo la sua
estromissione, voluta espressamente da Mussolini, dalla stanza
principale di via Solferino.
"A che continuare il mio diario, se non riesce a contenere la incalzante
dolorosa realta' e le nostre reazioni ad essa?", s'interroga angosciata
Elena Carandini Albertini il 25 settembre del '43. Due giorni prima,
c'era stato l'assalto tedesco alla tenuta di Torre in Pietra.
"Confusione e terrore cresciuti in pochi momenti nel cortile", annota la
mamma di Guido, che oggi capeggia la rivolta del latte. Poche ore dopo a
Palidoro il brigadiere dei carabinieri Salvo D'Acquisto veniva fucilato
dai nazisti sotto gli occhi terrorizzati dei contadini di casa
Carandini. "Oggi e' Guido che porto con me, fattosi quasi grande e molto
serio. Non puo' piu' frequentare il Visconti pel timore di retate di
giovani compiute gia' qua e la'. Studia in casa e non ci da' pensiero",
scrive ancora la figlia di Albertini. Ma da grande sara' proprio il mite
Guido, si' proprio lui, il giovane rampollo che coglie "rose fresche dal
giardinetto" da regalare alla madre, a procurare non pochi grattacapi
sia all'ex Pci sia all'attuale presidente del Consiglio, Romano Prodi.
Eletto deputato nel 1976, Carandini si scontra spesso con i suoi
compagni di partito.
E senza tradire mai la "sua" Torre in Pietra, all'inizio degli anni
Settanta il presidente degli allevatori romani si divide tra la Camera
dei deputati, la cattedra universitaria di Macerata (e' incaricato di
Storia delle dottrine economiche). Pubblica inoltre ponderosi saggi e
opere "concernenti la teoria marxista".
Gia', i Carandini. Deluso dal mandato parlamentare, all'inizio degli anni
Ottanta Guido torna alla sua attivita' di allevatore senza rinunciare a
fare polemiche con i suoi ex compagni di partito. E sua la prima
proposta di cambiare nome al vecchio Pci. Quel che basta a Giancarlo
Pajetta per rinverdire la sua mai sopita ostilita' contro quella famiglia
di Gran Borghesi liberali. Lo sberleffo attribuito a Pajetta sulle note
di una canzoncina, passata indenne dal fascismo all'eta' repubblicana,
recita cosi': "Se non ci conoscete guardateci i calzini/ noi siamo i
radicali del conte Carandini".